C’è stato un periodo, a cavallo del passaggio di millennio, in cui Will Smith non sbagliava un film. Una parentesi che si dipana tra il primo Bad Boys di Michael Bay, anno 1995 – in cui, grazie al personaggio di Mike Lowrey, Will Smith viene consacrato a nuovo volto dell’action muscolare – sino al 2003 quando esce il suo sequel. In tale periodo, a parte il floppone di Wild Wild West, ha recitato in blockbuster sfonda-botteghini del calibro di Independence Day, Men in black, Nemico pubblico, sino a ottenere una candidatura agli Oscar come Miglior Attore Protagonista per Alì di Michael Mann. Nel 2007 la rivista Newsweek lo decreta uno degli attori più potenti di Hollywood: i suoi film avevano incassato complessivamente 4,4 miliardi di dollari. Dopodiché inizia il declino. Will Smith prende parte a una serie di produzioni non proprio apprezzate dalla critica e, in alcuni casi, nemmeno dal pubblico. I poco entusiasmanti Io sono leggenda e Men in Black 3, i disastrosi After Earth - Dopo la fine del mondo (in cui compare anche suo figlio Jaden Smith) e Sette anime diretto dal nostro Gabriele Muccino, sino ad arrivare al controverso Suicide Squad. Un gruppo di super-cattivi chiamati dal governo per salvare (controvoglia e contro la loro volontà ) l’umanità . Idea vincente sulla carta che si è trasformata in 750 milioni d’incasso, ma che ha infiammato il web con polemiche e critiche davvero troppo eccessive. A dirigere il tutto David Ayer, che si era fatto notare con il bellissimo Fury, film bellico ambientato all’interno di un carroarmato sul finire della Seconda Guerra. E siccome squadra che vince non si cambia, lui e Will Smith sono tornati insieme in Bright, film ad alto budget (90 milioni di dollari) prodotto da Netflix e sbarcato sulla piattaforma streaming lo scorso 22 dicembre. Bright è ambientato in una Los Angeles in cui la razza umana convive con orchi (considerati reietti perché 2000 anni fa erano servi del Signore Oscuro), fate, elfi (un’elite ricca e aristocratica) e centauri, in un mondo fantasy che si è evoluto sino ai giorni nostri. In tale realtà esistono ancora poche, rarissime bacchette magiche in grado di conferire un potere assoluto a chi è in grado di brandirle. Il bizzarro contesto sociale che fa da sfondo alla vicenda del film è, appunto, puro contesto. Sebbene sia lampante la metafora degli orchi ghettizzati al pari degli afroamericani o degli ispanici nella L.A. moderna (da questo punto di vista è geniale la scelta di Ayer di affiancare all’orco proprio un afroamericano), nella sceneggiatura di Max Landis questo sottotesto non viene mai approfondito ma smussato in favore di una messa in scena da action classico. Bright infatti è un buddy-movie purissimo, dove due poliziotti dai caratteri incompatibili (Will Smith burbero e veterano, Joel Edgerton orco e recluta derisa dal resto del distretto) si trovano a dover far coppia, fuggendo da gang e complottisti nel corso di una notte che pare non finire mai. E per assurdo il film funziona molto meglio nella sua prima parte, quando l’elemento fantasy non è centrale ma solo un piacevole sottofondo, lasciando che sia la diversità dei due protagonisti a far progradire la narrazione. Quando è il fantasy a diventare centrale, il film perde molto del suo mordente e si va ad adagiare nei sicuri territori del già visto, senza riuscire ad assestare sequenze memorabili o colpi di scena degni di questo nome. Ed è un vero peccato. Bright resta comunque un buon action, con un’ottima intuizione alla base, ma che purtroppo si perde lungo il proprio svolgimento incespicando nei suoi stessi piedi. In compenso lo stesso David Ayer ha annunciato che è già stato messo in cantiere il sequel, in uscita a Natale 2018. Staremo a vedere se, con una storia dal respiro più ampio, questo mondo non si consolidi come nuovo franchise.