Cinque liceali del Massachusetts riportano in auge la leggenda di Slender Man, così compiono un rituale per evocarlo: il clima è tranquillo e disincantato, fra curiosità e scetticismo, fin quando una delle ragazze scompare misteriosamente. Allora, da una semplice suggestione, si passa alla dura realtà e giocare col fuoco comporterà qualche rischio. Sylvain White ripesca a distanza di quasi dieci anni un mito nato sul web: lo Slender Man è frutto della fantasia di Eric Knudsen, maestro elementare, che nel 2009 lo ha creato – usando lo pseudonimo di Victor Surge – con Photoshop per un concorso fotografico sul sito Something Awful. La bizzarra creatura, nel giro di pochissimo tempo, ottiene un successo inaspettato fino ad arrivare su Youtube: protagonista di alcune Web series,Slander Man diventa uno spauracchio conclamato e convincente al punto da suggestionare i giovani amanti del genere horror. La parabola ascendente lo trasforma in un cult: su siti e forum non si parla d’altro, al punto da non comprendere a pieno dove finisca la finzione e cominci la realtà . Numerose, infatti, sarebbero le testimonianze di persone che l’hanno visto aggirarsi nei luoghi più disparati. Chiamatela distrazione di massa oppure semplice infatuazione, ma Slender Man è una creatura che – nel bene o nel male – non può essere ignorata. Con tutti i rischi che comporta. Le cronache riportano che, appena quattro anni fa, due ragazze del Wisconsin hanno accoltellato una diciottenne spinte dalla convinzione di aver agito per conto di questa entità paranormale. Entrambe sono state processate come due adulte (per la gravità degli atti commessi) nonostante fossero ancora minorenni. Il risvolto che ha preso questa vicenda giudiziaria ha incuriosito non poco il regista. Ecco allora che stavolta nel film siamo nel Massachusetts: cambiano le protagoniste e l’intreccio narrativo, anche per ragioni legali. Il padre di una delle colpevoli, infatti, ha definito quest’operazione cinematografica di «estremo cattivo gusto». È senza dubbio questo il pretesto che ha spinto White a confezionare un’opera inverosimile con continui rimandi alla quotidianità . Siamo al cospetto di un racconto alla Stephen King – con tanto di musichette macabre e tormentoni indimenticabili – che attinge addirittura dai videogiochi di genere: Silent Hill e Resident Evil su tutti. Il girato cavalca l’onda dell’emotività districandosi fra ansie e credenze. La creatura proposta all’interno dell’opera presenta caratteristiche molto precise che la rendono ben definibile: una delle più evidenti è la capacità di tele trasportarsi (o muoversi molto velocemente) da un luogo all'altro e di mimetizzarsi nell'ambiente circostante. È inoltre in grado di causare interferenze a tutti i componenti elettronici e apparecchiature elettroniche. Slender Man è da considerarsi al pari di una introiezione: è la coscienza che chiunque di noi si porta dietro e con cui fa i conti giornalmente; diventa sempre più fragile fin quando i nostri timori si concretizzano, al punto da inibirci completamente. Sylvain White coglie la metafora e la trasfigura nell’arco di un’ora e mezza in grado di appassionare anche i più scettici, stimolando a più riprese lo spettatore, mantenendo alto il tasso emozionale. Come in ogni horror che si rispetti, dietro le paure più recondite si cela una morale distorta: scoprirla non sarà una passeggiata, specialmente per i deboli di cuore.