L'artista Alberto Giacometti rivive nei panni di Geoffrey Rush in un biopic tutto particolare. Nella Francia di metà anni Sessanta, lo scultore passa un breve ma intenso periodo della sua vita: qui conosce James Lord, un giovane facoltoso da cui rimane estasiato, così gli chiede di posare qualche giorno nel suo studio - un rifugio spartano pieno di sculture abbozzate, tele e pennelli - per realizzare un ritratto da esposizione. Tra i due nasce una bella amicizia, al limite della complicità , che aprirà la finestra sul mondo meraviglioso e controverso di Giacometti. Stanley Tucci racconta l'arte sul grande schermo partendo dalla figura duttile e controversa di Alberto Giacometti, pittore, scultore e incisore. Final Portrait - L'arte di essere amici non si presenta come un tradizionale film biografico: in questo caso il regista ha scelto di raccontare una parte della vita del personaggio, l'ultima. Il film racconta della volontà di un anziano artista di sparigliare la concorrenza con innovazione e avanguardia, accompagnata dal tumulto passionale e psicologico che pervade l'uomo. Stanley Tucci non descrive esclusivamente le peculiarità tecniche di Giacometti e, anzi, queste ricoprono un ruolo marginale. Il dipinto, l'arte, non è che il pretesto per dar vita a quel caos organizzato entro cui ogni pittore e scultore si inserisce agevolmente e senza il quale farebbe fatica a trovare una dimensione nella vita. Il tormento, l'estasi e la riuscita: tre fasi riassunte nell'arco di novanta minuti con espedienti desueti e, al contempo, opportuni. Come la scelta della camera a spalla, che restituisce allo spettatore la dinamicità del racconto e dell'arte che muta in divenire. Il pubblico sembra immergersi nel salotto dell'artista: tocca quasi con mano i pennelli, sente gli odori, accarezza ogni prospettiva. Qualche controcampo fuori fuoco, poi, restituisce quell'atmosfera misteriosa che fa accrescere coinvolgimento e suspense. Emerge la difficoltà dell'artista, la sua mancata soddisfazione; il tendere a una perfezione che, malgrado il successo, non arriva mai. Tanto spazio anche al lato privato di Giacometti, forse quello meno conosciuto, in cui traspare un uomo rabbioso e disilluso. La componente amorosa è forte, con uno spiccato risalto alle sue pulsioni sessuali, costantemente sulle corde dell'equilibrio e della sensibilità . C'è tanta cura nei dettagli: i costumi, sempre uguali, adatti a far scaturire quel senso di consapevole trascuratezza restituito all'arte sotto forma di ispirazione; le musiche accompagnano qualche scena senza invadere l'architettura del film. Molti i dialoghi in un progetto quasi completamente girato in interni. Allora, la differenza la devono fare gli attori: Geoffrey Rush, meticoloso e calzante, veste i panni del protagonista e i suoi tormenti. Secondo, ma non per importanza, Armie Hammer: il Lord James da lui incarnato sa collocarsi fra le insenature del Giacometti fino a trarne il meglio; la completa sottomissione del giovane ritratto dal maestro è l'artificio più giusto per dar vita alle velleità artistiche (e non solo) di un anziano quasi alla fine dei suoi giorni, che però non ha ancora esaurito tutto il suo talento.