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Tutti gli uomini di Victoria

19/01/2018 11:00

Emanuela Di Matteo

Recensione Film,

Tutti gli uomini di Victoria

Il cinema francese ci regala ancora ritratti di donne reali, solo apparentemente fragili

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Nonostante dal titolo italiano ci si aspetti un film spassoso e sentimentale, Tutti Gli Uomini di Victoria è una commedia sofisticata che descrive la figura di una donna complessa e contraddittoria. Victoria Spick (Virginie Efira) è un avvocato penalista, divorziata, con due figlie piccole da crescere. L’ex marito, scrittore mediocre e volubile, sfrutta le confidenze della donna, anche professionali, per farne un blog di successo. Victoria si imbarca in una causa contro di lui, e al contempo accetta di difendere un altrettanto indifendibile ed instabile amico (Melvil Poupaud), con conseguenze che le si ritorceranno gravemente contro. In mezzo al cataclisma lavorativo che le si scatena attorno, la vita privata è fatta di solitudine sentimentale e bambine mezze svestite che bivaccano nel caos del suo appartamento.


Il sesso è il tema del film e anche il coerente ritratto della società attuale. Se ne parla tanto, perché manca, perché non si desidera o si desidera troppo; ma nel concreto, se ne fa pochissimo. L’unica scena di sesso del film, infatti, sarà in realtà una scena d’amore. Un cane dalmata testimone di un accoltellamento, uno scimpanzè fotografo e l’immagine della famiglia felice che gioca con un coniglietto non addolciscono minimamente la commedia, che anzi trae da queste situazioni spunti ancora più cinici. La regista Justine Triet al secondo lungometraggio, non fa sconti al suo personaggio. Pur essendo intelligente e in gamba, Victoria alterna i consigli dell’analista a quelli della veggente, e non disdegna neppure il parere di perfetti sconosciuti. Fa uso massiccio di alcool e all’occasione barbiturici, attraversa la vita barcollando, facendo tentativi a casaccio. Eppure questa donna così sgradevole ed egoista a tratti, è in grado di diventare il suo opposto, mettersi in discussione, farsi delle domande, e quindi, alla fine, di evolversi.


Il solo personaggio maschile positivo, altrettanto contraddittorio e misterioso del film, è quello di Sam, interpretato dal bravissimo Vincent Lacoste, capace di declinare tutta la gamma dei sentimenti umani solo attraverso lo sguardo. Inevitabile il parallelismo con la commedia coeva 50 primavere della regista Blandine Lenoir: anch’essa il racconto di una donna divorziata, imperfetta e in difficoltà, in questo caso meno giovane e con figlie più grandi, che trova la forza di accettarsi, rialzarsi, e a cui la sorte porta in dono il vero Amore, inizialmente frainteso o contrastato. La commedia vitaminica della regista Lenoir è comicamente forse più riuscita, ma anche meno complessa, più indulgente sugli errori e i difetti della protagonista. Il cinema francese ci regala ancora ritratti di donne vere, solo apparentemente fragili, alle prese con le tante difficoltà e fatalità della vita, ma grado di fronteggiare tutto. Talvolta madri e al contempo donne affascinanti - binomio ancora difficilmente digeribile dal cinema italiano - la cui forza spaventa i maschi, dai quali, in realtà, desiderano semplicemente d’essere amate per quel che sono.


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