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Asfalto e pallone

21/02/2018 11:00

Alfredo De Vincenzo

Recensione Film,

Asfalto e pallone

Un documentario che si lascia guardare con gli occhi di un bambino

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Asfalto e pallone è un documentario francese diretto da Jesse Adang e Syrine Boulanouar sul calcio di strada nei quartieri parigini: si torna a parlare di sport, e di quanto il calcio possa essere un fattore determinante nella vita sociale dei bambini.


In una Francia multietnica i campi da calcio nei quartieri rappresentano spesso un sogno da inseguire, nella maggior parte dei casi una safe house in cui rifugiarsi e sfuggire alla povertà, alle difficoltà di integrazione ed alla criminalità. Perchè in questi campetti non conta il ceto sociale, non conta la marca di scarpe che si indossa, non contano religione ed etnia: contano soltanto lo sport e il divertimento. Attraverso questo viaggio nei quartieri di periferia, in cui ogni campetto fa da cuore pulsante alla vita sociale (e spesso porta il nome dei grandi stadi, come San Siro o La Bombonera), si riscopre lo spirito con cui nasce questo sport e con cui dovrebbe essere vissuto anche a livello professionistico. E diversi protagonisti del calcio mondiale vengono proprio da quei quartieri, come Medhi Benatia (difensore della Juventus e del Marocco), Riyad Mahrez (attaccante del Leicester e dell’Algeria); Serge Aurier (terzino del Tottenham e della Costa D’Avorio, campione di Francia con il PSG nel 2015 e nel 2016), Ousmane Dembelè (attaccante del Barcelona e della Francia), che raccontano la loro storia e di come hanno inseguito il sogno che li ha portati a giocare a livello professionistico.


Ed è assolutamente interessante come questi giocatori, anche raggiunta la notorietà, non dimentichino mai le proprie origini e cerchino di contribuire dando il proprio supporto al quartiere e ai ragazzi meno fortunati, partecipando a iniziative o donando denaro per comprare scarpe da calcio e completi.


Asfalto e Pallone è un documentario che si lascia guardare con gli occhi di un bambino: quando il campo era un pezzo di asfalto, le porte edue pietre fissate a terra e i tifosi una manciata di coetanei. La regia è assolutamente intelligente: gestisce in modo oculato le interviste ai giocatori professionisti e ai ragazzi di quartiere, a coloro che non ce l’hanno fatta ma che continuano a giocare per divertimento oppure sono diventati educatori per i più piccoli. In questa maniera il documentario alterna la funzione di informazione a quella educativa, dando l’impressione che il messaggio conti più della verità giornalistica. Va detto che non viene manipolata in alcun modo la realtà dei fatti, nè edulcorata; è chiaro invece il desiderio di guardare a questa realtà con sguardo speranzoso. E se da un lato è bello - e forse giusto - che sia così, dall’altro sarebbe stata altrettanto interessante un’analisi più approfondita delle banlieu parigine con tutte le sue grandi sfaccettature. Film di fiction come L’ odio o Yamakasi hanno mostrato diverse situazioni all’interno delle banlieu per sottolineare la situazione socio-politica di questi quartieri, mentre in Asfalto e pallone tutto questo sparisce grazie a un calcio al pallone e un sorriso. Ma forse è proprio questo il messaggio dei due registi: come anche in ambienti non semplici il gioco del calcio possa unire laddove tutto il resto spesso divida.


Assolutamente interessante, seppur anche in questo caso forse poco approfondito, è il rapporto tra il calcio e la musica rap che nasce nei quartieri arrivando poi ad espandersi: come nel caso di Matuidi (centrocampista della Juventus, campione di Francia con il PSG per 4 anni, eletto miglior giocatore di Francia nel 2015) e il rapper Niska, che gli ha dedicato la canzone Matuidi Charo. Il messaggio del documentario è chiaro ed è talmente genuino e pulito che si potrà soprassedere su alcuni limiti di trattazione dell’argomento: un po’ come nel calcio di strada, l’importante è guardare tutto positivamente.


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