Finalmente Terry Gilliam ce l’ha fatta. Finalmente L’uomo che uccise Don Chisciotte, uno dei film con la storia produttiva più lunga e travagliata del cinema, è riuscito ad arrivare nelle sale. Merito senza dubbio del suo autore, che per trent’anni non si è mai arreso, combattendo contro ogni tipo di avversità: nubifragi, attori malati, false partenze, produttori che si tirano indietro all’ultimo minuto. Quasi come se Gilliam stesso fosse Don Chisciotte che si ritrova a combattere contro dei mulini a vento, in una viziosa spirale metacinematografica che si autalimenta. Talmente tante sfortune, quelle di Terry, da dare vita persino a un documentario: Lost in La Mancha è realizzato con il poco materiale girato nei 5 giorni di riprese del film nel 2002. L’uomo che uccise Don Chisciotte si apre proprio così, con un gigantesco sospiro di sollievo di Gilliam che tira una pacca metacinematografica (questo parolone è la principale chiave di lettura del film) sulla spalla al pubblico con la scritta Il film che avete atteso per 25 anni ed è impossibile trattenere una risata. Meta-cinema. Che Gilliam abbia un linguaggio fuori dagli schemi è sempre stato chiaro, ma con questo film pare che si sia tirato la zappa sui piedi da solo. Come se si fosse scritto su misura la sceneggiatura del proprio film autobiografico ancor prima di averla vissuta. Già perché la storia - rimaneggiata e riscritta innumerevoli volte in questo ventennio, il cui incipit è tuttavia rimasto pressoché invariato - ruota attorno a Toby, regista di spot pubblicitari, che dieci anni prima dell’inizio della narrazione ha fatto un film su Don Chisciotte: nel parallelo con la realtà è la prima produzione raccontata in Lost in La Mancha. Oggi il regista è tornato su quegli stessi luoghi per girare uno spot pubblicitario con protagonista il Cavaliere di Cervantes, ovvero il film che stanno proiettando in sala, L’uomo che uccise Don Chisciotte. Tornando negli stessi luoghi del passato, Toby/Gilliam ritrovano una serie di comparse a cui il regista ha rovinato la vita dopo aver girato il suo film, soprattutto al calzolaio che a suo tempo impersonò il cavaliere. L’uomo infatti è rimasto intrappolato nella convinzione di essere Don Chisciotte e scambia Toby per il suo scudiero Sancho Panza, trascinandolo a forza nelle proprie avventure. Evidentemente folle, il vecchio immagina di rivivere le gesta scritte da Cervantes e il regista non potrà fare altro che assecondarlo. Toby/Sancho Panza è interpretato da Adam Driver che, tra un episodio di Star Wars e l’altro, sembra molto più a suo agio e libero d’improvvisare, sfoderando una serie impressionante di mosse e faccette che speriamo la Disney non scopra mai. Don Chisciotte ha il volto dell’Alto Passero Jonathan Pryce, qui alla sua quarta collaborazione con il regista. Gilliam ha commentato: «Jonathan stava aspettando la parte fin dall’epoca del nostro primo tentativo, ma prima era troppo giovane e poi troppo occupato». E l’attore replica: «Sembra che Terry abbia continuato a ritardare questo film solo per farmi invecchiare abbastanza da poter interpretare Don Chisciotte». Senza anticipare troppo e incappare in spoiler, potremmo concludere dicendo che il finale del film completi alla perfezione il parallelismo tra Terry e Chisciotte. Come se - una volta per tutte - Gilliam avesse raggiunto il proprio scopo della vita, portando a compimento questo film maledetto e riuscendo così a vivere la propria vita inseguendo altri sogni, finalmente libero dalla sua ossessione.