L'horror italiano è un genere che sta sopravvivendo (aggiungendoci un po’ di positività si potrebbe persino azzardare il termine “fiorendo”) unicamente grazie al cinema indipendente. Si tratta di produzioni povere di mezzi, e soprattutto di finanziamenti, ma non di inventiva, buona volontà e voglia di fare. Spesso questi prodotti fanno il giro dei festival per farsi un po’ di pubblicità (alcuni ottengono anche qualche riconoscimento), se hanno fortuna approdano al cinema (molto di rado) o più spesso sul mercato dell’home video (che comunque è un traguardo più che rispettabile). Shanda’s River si accoda a questa tradizione, arrivando sugli scaffali delle videoteche – c’è un che di vintage in questa frase, ma volete mettere la soddisfazioen di stringere tra le mani la custodia di un blu-ray anziché fare un doppio click su di un file salvato sul desktop? – dopo aver raccolto numerosi consensi sia in Italia che all’estero. Los Angeles Film Festival, New Jersey Horror Con and Film Festival, Upstate NY Horror Film Festival e in patria il Mediterranean Film Festival e ToHorror Film Festival 2017 per un totale di 19 premi collezionati. Non male per una produzione low budget. La storia del film è profondamente ancorata al territorio e il regista Marco Rosson nella messa in scena rievoca alcuni grandi registi nostrani del passato. Emma (Margherita Remotti) è un’antropologa che arriva a Voghera attratta da leggende locali che intende approfondire: la storia di Shanda, ragazza accusata di stregoneria e uccisa, a inizio ‘800, sulle rive di un fiume che prese il suo nome. Poco dopo il suo arrivo però Emma si rende conto che qualcosa non va; si ritrova infatti intrappolata in un loop temporale che la obbliga a rivivere ogni giorno la propria morte. Il cinema dei grandi maestri italiani di genere, quelli che negli anni ’70 e ’80 hanno impartito lezioni al mondo, è richiamato a gran voce dallo stile e dalla messa in scena di Marco Rosson. Shanda’s River è un mix che riesce a unire le storie rurali della provincia italiana, care a Pupi Avati, agli eccessi gore di Lucio Fulci, aggiungendo una sottotrama da giallo argentiano (il misterioso assassino che si cela dietro la maschera da demone e sussurra sempre la stessa frase in latino prima di uccidere Emma: Homo homini lupus) fino a influenze estetiche (l’atmosfera rarefatta, alcune sequenze fotografate in modo particolare) che richiamano Mario Bava. Come nella nostra tradizione passata, il film è stato interamente girato in inglese, pensando già in fase di produzione a un piano distributivo internazionale. Al di là delle influenze e del piano puramente tecnico, l’aspetto più affascinante di Shanda’s River è il folklore di cui è intrisa la storia. Come dichiarato dal regista Marco Rosson, però, la leggenda di Shanda è inventata. «Il fiume del titolo è in realtà il torrente Staffora che attraversa Voghera. Ci piaceva l’idea di creare un falso mito. L’Oltrepò per me è una terra meravigliosa che si presta molto bene alle riprese cinematografiche in generale, con paesaggi suggestivi che ben si sposano con questi tipi di racconti». Non è infatti la prima volta che l’horror underground indaga questa zona: era già accaduto nel 2005 con Il mistero di Lovecraft - Road to L, ambientato lungo il Delta del Po, dove le leggende locali dei racconti del Filò si mischiavano alla mitologia cosmica dello scrittore di Providence. Ennesima dimostrazione di come in Italia non siano le idee a scarseggiare, ma i mezzi e soprattutto il coraggio della grande distribuzione.