Ci sono storie che sono degne di essere raccontate. Non solo al cinema, ma in senso assoluto. Storie intrise di epica, drammaticità, tragedia, frivolezza. Che siano racconti fittizzi oppure imprese straordinarie realmente compiute da qualcuno non ha importanza: devono essere narrate, la gente deve conoscere e sapere. E poi ci sono storie che non interessano a nessuno. Sono rare (molto rare) eppure esistono: racconti che, una volta conclusi, l’interlocutore si domanda: ma quindi, qual è il senso di questa storia? Che cosa posso trarne? Che cosa vuoi dirmi? Il mistero di Donald C., l’ultimo film di James Marsh, è uno di questi casi. Donald Crowhurst (Colin Firth), commerciante e velista per diletto, marito e padre di tre figli, nel 1968 decide di prendere parte a una regata in solitaria intorno al mondo senza mai attraccare. Progetta da solo l’imbarcazione e alcuni strumenti di navigazione, s’indebita arrivando a ipotecare la propria abitazione pur di portare a termine il dispendioso progetto. Nonostante lo slittamento di alcuni mesi della partenza - a causa dei continui intoppi (e di una costante crescita dei costi) nella realizzazione del suo trimarano -, il 31 ottobre Donald salpa dal porto di Teignmouth con una barca che non è pronta ad affrontare quell’impresa. La sua scarsa esperienza come “velista della domenica” (un’osservazione mossa anche dalla moglie nell’unica scena di contrasto tra i due), inoltre, lo porta ben presto alla presa di coscienza di non essere in grado di poter vincere la competizione. La storia di Donald Crowhurst è la deriva psicologica di un uomo che decide d’imbarcarsi (in tutti i sensi!) in un’impresa enorme per lui. Incurante di chiunque, Donald si lascia alle spalle tutto e tutti, pur non avendo né le capacità tecniche né la resistenza fisica o psicologica per portare a termine questa impresa. E quando se ne rende conto che cosa fa? Mente. Inizia a costruire un castello di bugie talmente immenso che ne viene sopraffatto. E non potendo più sottrarsi da queste menzogne andrà in cerca della “grazia” che da il titolo alla versione originale del film (The Mercy). Discutibile è non sono il personaggio di Donald, ma tutti coloro che lo hanno incoraggiato, spronato e supportato: a partire dalla moglie, interpretata da Rachel Weisz. Il suo personaggio è remissivo all’inverosimile: ok l’amore, ma lei - che con il marito condivide casa, figli e un’impresa familiare non proprio di successo -, pur conscia della follia del coniuge, non cerca in nessun modo di dissuaderlo. Dal punto di vista tecnico Il mistero di Donald C. resta comunque molto buono: le inquadrature a picchiata e le panoramiche della barca alla deriva sull’orizzonte blu rendono alla perfezione il senso di desolazione e angoscia che invadono progressivamente il personaggio di Colin Firth. Il problema non è nemmeno la sceneggiatura, che sorvola velocissima sull’introduzione dei personaggi e la preparazione dell’impresa, disfandosi di tutta quella zavorra in soli 20 minuti di girato per concentrarsi, per più di un’ora, sull’impresa vera e propria di Crowhurst. Il problema del film è proprio la storia. «A nessuno interessano i diari di bordo dell’ultimo classificato» dice David Thewlis, nei panni del reporter Rodney Hallworth (uno dei personaggi migliori e di sicuro più sensati) sul finire del film. Ecco, ancora meno interessante è allora un adattamento cinematografico di tali diari.