Henrik Martin Dahlsbakken, regista norvegese classe 1989, con Going West ha voluto raccontare la storia on the road di un padre e di un figlio che, dopo essersi reciprocamente persi, si ritrovano. Non è una strada facile, perchè il giovane Kaspar (Benjamin Helstad) è cresciuto con un genitore (interpretato da Ingar Helge Gimle), che ama indossare abiti femminili e che, preso dal suo mondo e dai suoi interessi, lo ha relegato quasi interamente alle cure della madre. Kaspar insegna musica ai bambini delle elementari ma finisce col farsi licenziare a causa dei continui ritardi e dell'abuso di alcool. Quando la madre (Birgitte Victoria Svendsen) muore, si sente in dovere di rispettare le sue ultime volontà e trascorrere qualche tempo in compagnia del padre, vincendo il penoso imbarazzo che il suo modo di essere gli ha sempre procurato, fin da piccolo. Un viaggio verso l'Isola di Ona, a bordo di una scalcinata Moto Guzzi con sidecar, dove si svolgerà una competizione di quilt, coperte fatte a mano, alla quale la mamma avrebbe voluto partecipare, sembra per i due la giusta occasione. Ma, come spesso avviene, non sarà tanto importante la meta del viaggio, quanto le persone che incontreranno durante il percorso, che favoriranno un lento cambiamento nella accettazione l’uno dell’altro. Campeggiando tra i tranquilli e pittoreschi paesaggi norvegesi, Kaspar farà la conoscenza di un gruppo di accoglienti ed enigmatiche ragazze e il padre Georg ritroverà una vecchia fidanzata del passato, e con essa uno spicchio di spensieratezza della gioventù. Forse è proprio la tenerezza, l'indulgenza, la giusta chiave per entrare in questo film, che racconta storie d'amore attuali e trascorse e che, nonostante le diversità , gli incidenti della vita e le sue bizzarrie, sembra indicare l’amore come l'unica cosa che resta, l'unica veramente importante. Occhio indagatore all’interno delle dinamiche misteriose della coppia, piacevole e delicato, alleggerito ulteriormente da qualche ironia, Going West soffre di qualche retorica di troppo e di una sceneggiatura forse poco incisiva. La figura di Georg è un ritratto transgender senza macchiettismi e stereotipi, un uomo che non vuole rinunciare a essere se stesso, in barba alle convenzioni e agli sguardi giudicanti o stupefatti delle persone, ma che vorrebbe anche essere un padre accettabile. La banda di ragazze rapinatrici, fino a poco prima delicate studentesse, che cercano di derubare un negoziante sulla strada, ricorda un po' la gioventù spericolata e intellettuale della nouvelle vague.