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Don't Worry

25/07/2018 11:00

Roberto Semprebene

Recensione Film,

Don't Worry

Gus Van Sant dirige la storia del vignettista John Callahan

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He won't get far on foot: prosegue così il titolo dell'autobiografia di John Callahan (1951-2010), dalla quale Gus Van Sant ha tratto l’omonimo film. Callahan, affermato vignettista satirico, è indubbiamente un personaggio che ben si presta a diventare protagonista di un racconto di dannazione, crescita e redenzione: orfano e con problemi di alcolismo fin dall’adolescenza, a 21 anni è vittima di un incidente stradale che lo rende tetraplegico. Ma il trauma, lentamente, diventa la base di partenza per la sua rinascita: Callahan canalizza le proprie energie nella creazione artistica e riesce ad affrancarsi da una situazione disperata.


Gus Van Sant sceglie di raccontare la storia di John Callahan mescolando diverse linee temporali, presentandoci così dapprima il vignettista, già in carrozzina, a un incontro di Alcolisti Anonimi, per poi andare a ricomporre il puzzle della sua vita, ricorrendo in parte anche ad animazioni e disegni dello stesso Callahan.


Joaquin Phoenix è, come ormai sua consuetudine, uno splendido interprete: credibile tanto nella parte del giovane Callahan, scapestrato alcolista hippie dai lunghi capelli rossi, che in quella del Callahan più maturo, costretto sulla sedia a rotelle ma comunque incapace di stare fermo e in grado di trasformare la propria feroce ironia in vignette di grande successo. Intorno al protagonista, come anticipato, girano una serie di personaggi che trovano in un ottimo cast i loro interpreti: Rooney Mara, che dà corpo e delicatezza alla compagna di John, Annu; Jonah Hill, il profondo e malinconico sponsor Donnie, ricco, edonista ed omosessuale, realmente capace di indirizzare e accompagnare John sulla via dei 12 passi che porteranno il protagonista alla propria rinascita; Jack Black come Dexter, compagno di sbornie e causa dell’incidente che porta via a John la possibilità di controllare il proprio corpo. Anche le vignette sono protagoniste del film: lo punteggiano, segnano il momento della rinascita di John e offrono spunti per risate e critiche.


Lo spettatore segue il percorso di Callahan saltando indietro e avanti nel tempo, senza per questo perdere il filo o sentirsi disorientato: la struttura del film aiuta a comprendere le ragioni dei comportamenti del protagonista, ad apprezzarne l’evoluzione, a rimarcarne la forza d’animo e sottolineare i passaggi salienti e le sue svolte emotive e psicologiche. John è una persona che soffre, ma che impara a non lamentarsi, reso consapevole del fatto che questo non gli servirebbe. L’uscita dallo stato di dipendenza, l’accettazione di sé, della propria condizione e delle proprie responsabilità lo rasserenano, gli danno modo di interpretare la propria situazione e trovarci nuovi significati. Tutto quanto scritto può suonare buonista e retorico, ma il film non indugia sulla sofferenza. Gus Van Sant è genuinamente affascinato dal suo protagonista: ne coglie la feroce ironia, la vitalità, gli eccessi, la disposizione positiva che porta il prossimo a rispondere al meglio e ad accettare la diversità senza pietismi.


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