
Nella pausa intercorsa tra le riprese del primo capitolo di Ritorno al futuro e l’inizio di quelle della parte 2, un Michael J. Fox dalla carriera sempre più in ascesa inanella l’ennesimo (è proprio il caso di dirlo) successo. Il segreto del mio successo è uno di quei film che negli anni ’90 venivano passati a nastro in tv; e proprio grazie a questi continui passaggi è diventato un cult. Una pellicola che oggi non avrebbe nemmeno senso di esistere da quanto è profondamente ancorata ai propri anni (era il 1987). Rivista oggi appare ingenua e stucchevolmente benevola, ma ancora in grado di strappare qualche sorriso. Michael J. Fox è Brantley Foster, volenteroso ragazzo fresco di università, che si trasferisce dalle campagne del Kansas alla frenetica New York, desideroso di successo e voglia d’affermarsi. Nonostante la Grande Mela gli sbatta la porta in faccia diverse volte, Brantley non demorde e trova lavoro in una grossa società come fattorino. Insoddisfatto dell’impiego, un giorno decide di sostituirsi a un dirigente finanziario nel corso di una riunione, suscitando non pochi consensi nel consiglio d’amministrazione. Inizia così, sotto mentite spoglie, la sua inarrestabile carriera, che procede di pari passo con lo sbocciare dell’amore con una sua collega. Il segreto del mio successo non è altro che una commedia degli equivoci dai risvolti romantici, che ha come protagonista il golden-boy degli anni ’80 per eccellenza. A fare da sfondo alla vicenda vi è Manhattan, ovvero l’incarnazione di fine secolo del Grande Sogno Americano, che viveva il suo momento di gloria proprio nell’ultimo ventennio di fine millennio, quando tutto il mondo (e gli americani più di tutti) credeva che gli Stati Uniti fossero il luogo dove era possibile passare da 0 a 100 solo grazie alle proprie capacità e un pizzico di fortuna. Era un periodo d’oro, in cui l’economia mondiale prosperava e la parola “crisi” non si sapeva nemmeno cosa volesse dire. Questo prima che il Grande Sogno andasse in frantumi per sempre. Oggi un film come Il segreto del mio successo risulterebbe falso, lezioso e verrebbe etichettato come pro-capitalistico, ma rispolverarne la visione catapulta immediatamente lo spettatore indietro di trent’anni. Tutto è eighties: le musiche sintetizzate, le dinamiche tra i personaggi (molto più semplici rispetto ai film moderni), gli archivi aziendali fatti di faldoni, i televisori e i (pochi) computer a tubo catodico, le capigliature cotonate e i vestiti a metà strada tra il cool e il kitsch. Un tempo che fu e che, per quanto ci ostiniamo a essere nostalgici, non ritornerà mai.