Morale, fede e religione nel nuovo film di Alberto Fasulo: Menocchio, al secolo Domenico Scandella, è il mugnaio che alla fine del Cinquecento affrontò il tribunale della Santa Inquisizione portando avanti teorie eretiche sulla natura di Dio e sulla chiesa di Roma. Vizi, virtù e mezze verità in uno spaccato di vita dal sapore storico. La quarta opera di Fasulo ripesca gli scritti di Carlo Ginzburg e racconta la straordinaria storia di Domenico Scandella. Mugnaio ma soprattutto uomo dotato di fine intelletto e profondità d’animo che, con inusitata caparbietà , si scagliò contro la Santa Inquisizione e i suoi dogmi. Così questo film rimette sul piatto l’eterna questione fra fede e fedeltà : la chiesa di Roma resta specchio sincero e attendibile della religione cattolica? Si rimette tutto in discussione in nome della natura e del divenire dell’universo: Scandella non accetta la verginità di Maria e la descrizione del Paradiso, che sembrerebbe essere diverso da come gli uomini di fede lo raccontano. Secondo il mugnaio, Dio si nasconderebbe nella natura delle cose per sfuggire all’uomo che ne ha fatto poco più d’una macchietta. Questa dicotomia fra parola e predica viene accentuata in una descrizione del protagonista come uomo leale e scorbutico, che ricerca a tutti costi un Dio a misura di chiunque (anche dei poveri) e non schiavo delle ricchezze. L’Altissimo non è mosso dal potere di chi lo descrive, ma viene invocato da chi ne ha davvero bisogno. Menocchio intreccia sacro e profano, sociale e spirituale, restituendo con garbo lo scetticismo del protagonista. C’è spazio, poi, per quella che è stata – a livello storico e culturale – l’iconoclastia dei potenti: una delle scene più toccanti del film è quella in cui il mugnaio posa lo sguardo, contrito e determinato, agli affreschi presenti nell’aula in cui sarà processato. Uno specchio sull’autoreferenzialità del Potere, capace di affermarsi soltanto grazie alla forma che sostituiva la sostanza con la mera coercizione. Fasulo sfida le concezioni di regia e narrativa, rimettendo allo spettatore qualsivoglia giudizio e agisce al pari di un tarlo che alimenta, nella testa di chi osserva, congetture ed elabora curiosità . Continui sono i richiami a un cinema sobrio ed elegante, che non si lascia trasportare dalla frenesia barocca e continua a raccontare. Menocchio è un’opera didattica che guarda al futuro partendo dal passato, con l’occhio indiscreto di chi non si accontenta di voler vedere ma intende analizzare in modo critico e concettuale ogni presa di posizione. Il possibilismo sfida l’assolutezza con precisione ed estro.