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Euforia

07/11/2018 11:00

Marcello Perucca

Recensione Film,

Euforia

La seconda regia di Valeria Golino

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Euforia, opera seconda dell’attrice/regista Valeria Golino, racconta la storia di due fratelli molto diversi fra loro. Uno è Matteo (Riccardo Scamarcio), esuberante, imprenditore di successo, gay e, fondamentalmente, egoriferito; l’altro è Ettore (Valerio Mastandrea), introverso insegnante di provincia, padre separato con una relazione con un’altra donna terminata in maniera dolorosa e, soprattutto, ignaro di essere affetto da un tumore al cervello. Fra i due non c’è mai stato un grande rapporto. I loro stili di vita, i loro caratteri profondamenti diversi, li hanno sempre tenuti distanti. Ma quando Matteo viene a sapere della malattia del fratello, inizierà a occuparsi di lui, ospitandolo nel suo attico romano e cercando di infondere in Ettore - che non sospetta della gravità del male - quell’euforia nel vivere che lo contraddistingue.


Come in Miele, suo film d’esordio alla regia, la Golino affronta il tema doloroso della malattia. Ma se in quell’occasione lo scopo era quello di ragionare sull’eutanasia e sul diritto di ciascuno a scegliere se e come porre fine alle proprie sofferenze, in Euforia l’intenzione è quella di utilizzare la malattia per raccontare un rapporto fra due persone che, pur unite da legami di sangue, non hanno mai veramente cercato un punto di contatto. E sarà proprio il cancro a permettere ai due fratelli di entrare in sintonia fra loro.


Euforia, presentato nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes 2018, è un film che affronta temi importanti e strazianti. Scamarcio e, soprattutto, Mastandrea, sono bravi a tratteggiare i caratteri dei loro rispettivi personaggi. Così come perfetta nella parte appare Jasmine Trinca, che interpreta la donna con la quale Ettore aveva avuto una relazione tempo prima. Per tutto questo Euforia avrebbe potuto essere un ottimo film, indagatore dell’animo umano, della sofferenza e della capacità – o incapacità – degli uomini ad affrontare le difficili prove alle quali sottopone la vita. Avrebbe potuto essere un modo per ragionare su cosa rappresenta e su come si manifesta il senso di fratellanza, cosa accomuna o separa due persone dello stesso sangue.


Purtroppo Valeria Golino non riesce completamente nel suo intento, eccedendo in riprese estetizzanti – le evoluzioni degli stormi di uccelli nel cielo di Roma, la solitudine di un vagone della metropolitana la notte, le punte delle dita che si toccano da due macchine che viaggiano parallele per le strade di Roma – che, anziché arricchire, appesantiscono inutilmente la sceneggiatura. Lo script, una collaborazione tra la Golino, Francesca Marciano e Valia Santella, risulta a volte ridondante: dubbia l'utilità di alcune scene, come ad esempio il viaggio al santuario di Medjugorje che Ettore intraprende insieme a Matteo dopo essersi appena rifiutato di andare in pellegrinaggio a Lourdes. Un film non completamente riuscito, che lascia un po’ di amaro in bocca per un’occasione non colta appieno.


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