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Non è vero ma ci credo

23/10/2018 10:00

Emanuela Di Matteo

Recensione Film,

Non è vero ma ci credo

Una commedia degli equivoci, non troppo originale

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Stefano Anselmi è alla sua prima regia per il cinema dopo una nutrita esperienza soprattutto nelle serie TV. I protagonisti di Non è vero ma ci credo, Nunzio e Paolo (rispettivamente Nunzio Fabrizio Rotondo e Paolo Vita) sono una coppia artistica rodata, hanno spesso lavorato insieme anche in passato, in ambito televisivo. In Non è vero ma ci credo interpretano due amici per la pelle, perdigiorno e sognatori fin dai tempi di scuola, che hanno inspiegabilmente sposato Cristina e Maria Chiara, le intelligenti e capaci compagne di classe. Entrambi i matrimoni vacillano a causa della loro nullafacenza e dei business fallimentari che gli amici intraprendono, sempre con i soldi delle loro mogli, donne in carriera e di successo. Nunzio e Paolo sono vegetariani: spinti dall'ingannevole esempio del signor Armando, interpretato dall’attore Maurizio Mattioli, che ha aperto un locale di successo - che si rivelerà decisamente poco legale - decidono di aprire un ristorante vegetariano, per riscattarsi agli occhi delle mogli-arpie. Mettono insieme un improbabile e scalcinato staff, del quale fanno parte la cameriera spogliarellista e l'aiuto cuoco ladro. Ma quando le circostanze, nella persona del temibile critico culinario Michel De Best (Maurizio Lombardi) - preso in prestito nei connotati dal cartone Ratatouille, opera di spessore ben diverso - li spingono a trasformare il locale da vegetariano a carnivoro, i nostri eroi si inventeranno uno stratagemma, per ingannare critico e clienti e salvaguardare la vita dei teneri ed indifesi animaletti.


Basandosi sull'antichissima formula della commedia degli equivoci, variazione sullo schema consueto delle commedie latine, il regista, stereotipa al massimo i personaggi, ridotti, dal primo all'ultimo, a macchiette bidimensionali. Queste figurine di cartone, sfruttate e prevedibili, si muovono in uno scenario non meno asfittico, punteggiato da sketch musicali, siparietti e varie gag, più o meno riuscite. Nell'intenzione trattasi di commedia per famigliole, e infatti la voce narrante nel film è quella di un bambino. Ciò non impedisce che vengano messe in scena le performance di spogliarelliste seminude e che esplodano sonore parolacce, di vanziniana memoria. Tutto in Non è vero ma ci credo riporta a un lavoro televisivo. I tempi, la sommarietà, il linguaggio che mescola infanzia, scatologia, religione, sesso. Proprio come una zuppa, data col mestolone agli spettatori.


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