Il mare torna protagonista di un thriller ambientato fra Colonia e Gibilterra. Rike è un medico quarantenne con la passione per la vela, una vita passata a fare il suo dovere inseguendo i propri sogni nel cassetto. La sua vacanza dei sogni, salpare in solitaria verso l’Oceano Atlantico, viene interrotta bruscamente quando, nel bel mezzo di una tempesta, si trova al cospetto di un peschereccio che sta affondando: prova a chiamare soccorso radio con scarsi risultati, ormai è sola nel mare e dovrà tentare il tutto per tutto cercando di salvare la situazione. In ballo c’è la vita di un centinaio di persone. Wolfgang Fischer, nel suo ultimo lavoro, richiama la mitologia per trattare un problema reale: l’abbandono in mare. Lo fa ripescando il fiume degli Inferi, lo Stige: titolo indicativo, Styx suona come una sentenza; specie considerando che nel film viene trattato il tema della responsabilità collettiva e individuale verso colui che è disperso in mare. Film molto fisico, con i dialoghi ridotti all’essenziale, Styx racconta le insidie del mare, il contesto che si genera attorno alle vite umane e la prontezza di chi queste vite dovrebbe riuscire a salvarle. Un film sul senso di responsabilità che, a volte, negli addetti ai lavori muta in senso di colpa: soprattutto se si trovano da soli e, il più delle volte, impotenti di fronte a qualcosa più grande. Fischer ci pone al cospetto di un perenne dilemma morale che viene snocciolato in diverse forme. Rike, essendo medico d’emergenza, conosce le regole: ciò che conta, in casi estremi, è proteggere la propria vita. Nonostante questa certezza, i rimorsi possono far più male di qualsiasi ferità . L’intero progetto cinematografico fa leva su questa convinzione e la esaspera in una vicenda nemmeno troppo paradossale, con l’intento di farci comprendere forzatamente che ad ogni nostra azione corrisponde una reazione determinata. Anche girare la testa dall’altra parte, in un momento di pericolo, potrebbe essere una decisione incontrovertibile con cui dovremmo saper convivere.