Buio e respiro. È ciò che ci introduce nella nuova pellicola di Damien Chazelle, First Man - Il primo uomo. Uno dei registi più "musicali" di sempre (Whiplash e La La Land), sceglie per questa pellicola come colonna sonora il silenzio. E lo fa in maniera egregia. Con una sequenza iniziale da tenerci aggrappati alla poltrona della sala, Chazelle introduce Neil Armstrong - interpretato da un magistrale Ryan Gosling - e la sua scalata verso la Nasa e la Luna. Senza elevarlo a eroe, ma solo narrando la storia di un uomo che intraprende, quasi per caso, un'impresa storica. Un processo che viviamo insieme a Neil attimo dopo attimo, percependo ogni suo respiro e quasi toccando ogni cavo di quei razzi sperimentali che diverranno il leggendario Apollo 11. Ci immergiamo anche noi all'interno delle sue lamiere e nei suoi spazi stretti e claustrofobici, così come fecero gli astronauti dell'epoca in un'empatia unica che ci tiene in tensione per tutta la durata del film. L'arrivo nello spazio di Neil è anche l'arrivo delle prime note di musica, ovviamente jazz. Chazelle di certo impara e fa sua la lezione di Stanley Kubrick, facendo danzare le navicelle come solo il Maestro è riuscito a fare, senza però cadere nel banale e nella copia. Uno spazio fatto di silenzi assoluti s'intreccia con le note jazz e con i respiri dei primi uomini. Ma non è lo spazio a essere infestato da fantasmi, bensì la Terra. Neil cerca di scappare dai suoi spettri, dai troppi lutti: la vita terreste di Armstrong si tinge di un'atmosfera quasi horror, sicuramente drammatica, in cui Chazelle non manca di raccontare anche Jan (Claire Foy), la moglie dell'astronauta, che ha l'arduo compito di restargli accanto. E poi c'è la missione, che non era ben vista né dalla società dell'epoca né dal governo. Un dispendio inutile di soldi, secondo qualcuno, che potevano essere utilizzati per i più poveri e per un miglioramento generale della vita e delle infrastrutture. Damien Chazelle riesce benissimo a rendere il clima di tensione e, allo stesso modo, di novità intorno alla Nasa con una sequenza in cui il ritmo del film diviene più incalzante: le note black di sole percussioni intonano la frase «I have no hot water in my house, but the white man is on the Moon», accompagnando la presentazione del nuovo razzo che porterà l'equipaggio dell'Apollo 11 sulla luna. La sequenza più attesa - il primo passo sulla Luna - è emozione pura: Chazelle, con un'ampia soggettiva a 360°, ci permette di rivivere il momento dal punto di vista di Neil e per qualche momento ci fa accompagnare l'astronauta sul suolo grigio. Per il resto Damien Chazelle ci racconta la storia del primo uomo sulla luna attraverso, per lo più, primi/primissimi piani o ampie panoramiche. La fotografia ci restituisce la palette d'epoca, in una patina “sporca” e un po' vintage. Insomma, tutto funziona. Che sia il film del riscatto, dopo la gaffe agli Oscar 2017?