Gli Afterhours rappresentano il progressive italiano, non serve trascendere nelle varie declinazioni del rock per capirlo. Quel che ha fatto la band guidata da Manuel Agnelli negli anni è più simile a un’educazione, che fa della ricerca del sublime un vessillo, piuttosto che un semplice trend. Quando si parla di tendenza, si fatica a trovare una collocazione per questo gruppo che – con caparbietà e merito – si è costruito un seguito prima di nicchia e poi, col tempo, più mainstream. Tutte le sfumature di quest’avventura musicale vengono analizzate e rielaborate in un cammino che parte dal concerto sold out di Assago dello scorso 10 aprile (trent’anni di carriera onorati nel miglior modo possibile) e si muove a ritroso sotto la supervisione di Agnelli che, al pari di un novello Caronte, ci traghetta attraverso i lati più intimi di questo complesso. Noi siamo Afterhours, diretto da Giorgio Testi, non è un semplice documentario. Non si ferma soltanto a comunicare quanto la musica – come forma d’arte – possa essere potente e totalizzante, ma traccia, in maniera chiara e puntuale, la metamorfosi che porta con sé il successo. Quest’opera è la dimostrazione caparbia di come la celebrità , man mano che si concretizza, porti a dover fare delle scelte: non sempre condivisibili. Un film che, nell’arco di cento minuti, ricorda quei romanzi di formazione in cui ogni singolo personaggio si evolve – nei comportamenti e negli approcci – fino al punto in cui non è più lo stesso: la partenza e l’arrivo sono due contesti specifici che compongono un intervallo di tempo entro il quale si definisce la sostanza di ogni cosa. Vale per la quotidianità ed è vero, ancor di più, nell’arte. Dove ogni trasformazione ed evoluzione viene enfatizzata dai tumulti e le trasgressioni. Gli Afterhours hanno tutto questo, quindi è riduttivo parlare di musica, meglio definirla armonia: il documentario racconta, attraverso meccanismi ben congeniati – in cui si alternano foto, video e testimonianze – i vari stati di un complesso che ha influenzato generazioni. Testi simili a poesie, manifesti di sensazioni e bisogni che, forse, sentiva più di qualcuno. Manuel Agnelli e i suoi li hanno tradotti in concretezza e melodia. Dal punto di vista tecnico Noi siamo Afterhours è un’operazione che non mira esclusivamente a scandire gli eventi da un punto di vista cronologico: infatti viene stravolto, con immensa cura, l’ordine delle cose. Si inizia dall’arrivo, da un sold out, per lavorare in sottrazione: la punta di un iceberg fatto di adrenalina, esitazioni e brividi forti, sorretto dal consenso del pubblico. L’opera è fruibile anche per chi non è fan della band: non siamo al cospetto di una celebrazione (seppur si parta da un anniversario importante) ma di una vera e propria analisi che, dietro ogni singola nota, composizione e scena, scandisce momenti di vita. Ogni artista è, innanzitutto, un uomo con punti di forza e debolezze. Lo ribadisce Agnelli: la sua è una figura influente e carismatica e quest’opera, fra le altre cose, mostra l’ascesa e il cambiamento di un leader. I musicisti, tolta la notorietà , restano un gruppo sociale che va gestito.