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Black Tide

19/11/2018 11:00

Andrea Desideri

Recensione Film,

Black Tide

Una tela ben organizzata che irretisce lo spettatore col giusto grado di pathos e tensione

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Il giovane Dany scompare improvvisamente. Francois Visconti, controverso capo della Polizia con un’intricata storia familiare alle spalle, prende in mano il caso e organizza le ricerche: l’indagine si rivela complessa e l’uomo coglie l’occasione per riflettere circa il suo ruolo di istituzione e di padre, essendo coinvolto emotivamente in entrambi. Da un lato investe anima e corpo per trovare Dany, dall’altro trascura il figlio sedicenne, Denis, che rischia di restare invischiato in un brutto giro di droga.


Erick Zonca riadatta il best seller The missing file di Dror Mishani e porta al cinema un thriller dalle tinte noir che ha per oggetto i giovani e il rapporto padri-figli. Emerge la figura di un uomo, Francois Visconti, combattuto ed eternamente in lotta: il ruolo istituzionale e il vissuto burrascoso sono spesso in contrasto, in particolar modo se c’è da indagare sulla scomparsa di un ragazzo. Allora può capitare che lavoro e famiglia si sovrappongano, con un prezzo troppo alto da pagare.


Black tide mescola affetti e nemici con parsimonia, fino a comporre una tela ben organizzata che convince lo spettatore col giusto grado di pathos e tensione. Vincent Cassel restituisce in maniera pregevole le paturnie e i demoni di Visconti, assicurando il ritratto di un uomo disperato. Sporco, alcolista, maleducato.


Black tide, grazie alla struttura a incastro, riesce a toccare più di un tema: si passa dall’omosessualità all’incesto, sviscerando il sesso nei suoi lati più torbidi senza calcare troppo la mano. Quel che resta è l’angoscia e l’intrigo che presta il fianco alla violenza, affatto smodata, piuttosto calibrata a seconda dei livelli nell’intreccio narrativo. Valore aggiunto è la fotografia di Paolo Carnera, che ha già firmato progetti importanti, tra cui Gomorra - La serie.


L’opera è un insieme di scelte azzeccate, leggermente trascurata nel montaggio, ma non per questo meno godibile. Non può dirsi adatta a ciascun tipo di pubblico, in quanto – concettualmente e tecnicamente – il thriller francese sta percorrendo una strada particolare: si preferisce puntare sull’irriverenza dei dettagli piuttosto che sulla cruentezza dei gesti violenti. Una scazzottata fine a se stessa non porta a nulla, Zonca vuole indagare e restituire il degrado e l’indolenza di determinate vicende. Allora gli ambienti, le situazioni, i risvolti psicologici dietro a ogni azione divengono fondamentali. Un eterno gioco delle parti dove nessuno è infallibile, preponderante è l’assenza di eroi contrapposta alla ricerca di verità: l’essenziale sta nell’umanità piuttosto che nella virtù. E gli umani sono, il più delle volte, fallibili. Black tide è l’epopea dell’insolvenza umana che cerca riscatto ripartendo dalla quotidianità. Tutto infarcito con l’incalzante ritmo delle storie avvincenti, in cui ogni sparo diventa l’anticamera di una disfatta.


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