Durante una giornata scolastica, nel corso della ricreazione, uno studente scaglia una pietra contro la finestra dell’istituto comprensivo. Alla rottura del vetro, si aggiunge un increscioso incidente: il custode Marcello subisce un forte trauma alla testa, in seguito alla sassata ricevuta. Una sfortunata casualità , che normalmente si risolverebbe con una semplice ammissione di colpa, rischia di trasformarsi in un conflitto diplomatico: l’autore dell’incauto gesto è il piccolo Samir Hatab, giovane musulmano, che dovrà rispondere anche di colpe che non ha. Come, ad esempio, avere dei genitori che, per via di determinate scelte quotidiane e culturali, non vengono ben visti dal bidello e sua moglie. Entrambi pervasi da un comportamento qualunquista e bigotto. Dunque, un banalissimo danno farà affiorare cattiveria e pregiudizi che perdurano da secoli e poco hanno a che fare con la condotta studentesca. Rolando Ravello è al suo terzo film da regista e, come dimostra il suo repertorio cinematografico, ogni opera sottintende temi e aspetti molto profondi. Stavolta, con La prima pietra, si affrontano - simpaticamente e con un pizzico d’arguzia - i pregiudizi e i luoghi comuni legati alle diverse religioni ed etnie. Viene sollevato, con leggerezza e ironia, il problema dell’odio razziale che – il più delle volte – non è soltanto una questione di pelle. Deriva dalla diversità di scelte, di comportamenti, che caratterizzano ciascuna persona. Allora, Ravello prende una comunissima casualità e la stravolge, esasperandola, per vedere fino a che punto la psiche umana – e l’ignoranza – può arrivare. Dunque, questo film mette sul piatto dogmi cristiani, ebraici e islamici, mischiandoli con sapienza dentro un unico calderone, che si concretizza attraverso una convivenza e convivialità forzata, per dar vita a siparietti e situazioni divertenti al limite del politicamente corretto. In un tale contesto, s’inserisce la figura di Corrado Guzzanti: il suo ritorno al cinema è dovuto a un ruolo, quello del preside - apparentemente avanguardista e bacchettone nella sostanza -, che sembra essergli stato cucito addosso. Il dirigente scolastico Ottaviani è un uomo che si barcamena nella cristianità , tenendo a bada la propria esuberanza e passione per l’arte teatrale e poetica: un misto fra Padre Pizzarro e Roberto Robertetti in versione formale. Maschera ideale in grado di esaltare le capacità dell’attore romano, dando vero lustro a una ricca sceneggiatura. Ogni personalità presente in scena dà vita ad una sequela di luoghi comuni e paradigmi epistemologici ben articolati, che evidenziano le pecche del fondamentalismo religioso quando subentra al buon senso. L’odio, spesso, è ingiustificato e fomenta le incomprensioni. Normalmente, sarebbe terreno fertile per creare conflitto, ne La prima pietra è lo spunto per ridere dei nostri difetti smontando le più profonde convinzioni sociali e culturali. Toccante e sagace la scena del coro di bambini che canta dinnanzi a una folla di genitori intenti a darsele di santa ragione per via di un’affermazione riportata nel modo sbagliato. Ravello ripropone sullo schermo quel cinismo, che si contrappone all’eccessiva indolenza, figlio del nostro tempo e allestisce un nuovo modo di fare commedia, che utilizza espedienti retorici e dialettici inconsueti, per condurre il pubblico in un vortice di risate da cui potrebbe scaturire un bell’esame di coscienza collettivo.