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Capri-Revolution

14/12/2018 12:00

Marcello Perucca

Recensione Film,

Capri-Revolution

Tradizione e modernità, materialismo e spiritualismo, pace e guerra

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Con Capri-Revolution Mario Martone continua il suo percorso, cominciato con Noi credevamo, di personale rilettura della Storia allo scopo di parlare del presente. Lo fa con un film ambientato a Capri ai tempi dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, dove alle tradizioni arcaiche dei pastori e dei contadini, vengono contrapposti i processi di modernizzazione tecnologica, quali l’arrivo dell’elettricità sull’isola, e le idee rivoluzionarie, con le teorie anticapitalistiche e pacifiste. La protagonista è Lucia, una giovane contadina analfabeta che passa le giornate a pascolare le capre sui pendii scoscesi dell’isola che si protendono verso il mare. In questo suo vagabondare entra in contatto con una comune ante litteram di giovani nordeuropei che vivono praticando il naturismo e rifiutando ogni forma di violenza sull’uomo e sugli animali. Guidati da Seybu, un pittore dall’aspetto di moderno Gesù Cristo - ispirato alla figura dell’artista tedesco Karl Wilhelm Diefenbach, che a Capri visse e lavorò - i giovani della comune riescono a fare colpo su Lucia, ragazza dallo spirito libero e ribelle, che rifiuta di cedere ai fratelli che la vorrebbero dare in sposa a un vedovo benestante del posto. La giovane, vincendo il proprio pudore, inizierà a frequentare la comunità, imparando a leggere e scrivere, convertendosi al vegetarianismo e unendosi alle danze che i giovani praticano liberando i loro corpi da ogni indumento per sentirsi più a contatto con la madre terra e con l’universo. Contrapposta alla figura di Seybu, troviamo quella di Carlo, medico del paese, di idee socialiste e poi interventiste che, da uomo di scienza, contesta lo spiritualismo di Seybu e dei suoi seguaci. Lucia, che è attratta da entrambi, riuscirà a trovare una sua dimensione emancipandosi e affrancandosi da una società che la vuole, in quanto donna, sottomessa a una cultura maschilista. Verrà ripudiata dai fratelli che non le perdoneranno di non aver voluto accettare il matrimonio combinato e aver svergognato la famiglia agli occhi dei paesani.


Il film di Martone, che ne ha realizzato il soggetto e la sceneggiatura insieme alla moglie Ippolita di Majo, mette costantemente a confronto aspetti quali tradizione e modernità, materialismo e spiritualismo, pace e guerra. I giovani della comune rappresentano un esempio netto di rifiuto di un mondo caratterizzato dalla sopraffazione di un essere vivente su un altro, portando avanti un discorso ecologista e di amore universale. Sotto questo aspetto Capri-Revolution avrebbe potuto essere un’opera di grande significato, soprattutto nella nostra società attuale, in cui questi concetti vengono spesso soverchiati da altri che vanno in direzione opposta.


Purtroppo Mario Martone non riesce a tradurre in immagini l’importanza dei propri concetti, infarcendo il film con troppi temi che vengono accennati e poi lasciati cadere nel vuoto (dalle spinte rivoluzionarie, alle motivazioni di chi vedeva nell’entrata in guerra una possibilità di riscatto per il popolo, passando dalle condizioni di disagio delle classi lavoratrici dell’epoca). Inoltre la pellicola è appesantita dalla recitazione spesso poco convincente di molti attori (uno fra tutti Reinout Scholten Van Aschat, che interpreta Seybu); da alcune soluzioni visive che lasciano perplessi come, ad esempio, l’effetto flou con cui ad un certo punto viene ripresa Lucia e, soprattutto, dalle eccessive scene pleonastiche e troppo teatrali delle danze adamitiche dei membri della comune nella natura selvaggia dell’isola partenopea.


Il film, parlato in varie lingue, dall’italiano al napoletano, dall’inglese al tedesco, è supportato dalla prova di Marianna Fontana, che interpreta Lucia con una carica di ribellione che sprizza da ogni sguardo. Il resto rimane appiattito da una sceneggiatura che banalizza tutto, facendo sorridere lo spettatore di fronte ai giovani seguaci di Seybu, un po’ naif e, verrebbe da dire, leggermente plagiati o di fronte ad altre figure, come quella del medico, che parrebbero più adatte a uno sceneggiato televisivo. A poco serve l’impeccabile fotografia di Michele D’Attanasio, per altro favorito dalla naturale e sconfinata bellezza dei luoghi ove sono state girate le scene, fra Capri e il Cilento


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