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Robin Hood - L'origine della leggenda

25/03/2019 12:00

Matteo Marescalco

Recensione Film,

Robin Hood - L'origine della leggenda

Un Robin Hood giovanilistico, tra slow-motion e effetto cinecomics

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Ricordate il romanticismo e la caratura morale di Sean Connery e Kevin Costner in Robin Hood - Principe dei ladri? E, ancora, come dimenticare il jingle Robin Hood e Little John van per la foresta del film animato targato Walt Disney? Fate un ulteriore sforzo: che ne dite della narrazione delle origini del Robin Hood interpretato da un imbolsito Russell Crowe? Ecco, provate a dar vita al processo inverso e a rimuovere dalla vostra mente le numerose volte in cui il principe che ruba ai ricchi per dare ai poveri è finito sullo schermo cinematografico. L'ultima trasposizione dedicata al più popolare eroe del Regno Unito, infatti, ha uno stile totalmente differente dagli esempi citati ed è rivolta a un target adolescenziale, su cui far leva attraverso la presenza di Taron Egerton e Jamie Dornan tra gli interpreti.


Lo stile di regia, caratterizzato da slow-motion e improvvise accelerazioni, la dice lunga sul fatto che questo Robin Hood - L'origine della leggenda sia un prodotto molto diverso rispetto all'accezione classica del racconto. Tutto ha inizio all'interno di una stalla. Lady Marian entra da una finestra e prova a rubare un cavallo ma viene scoperta da Robin di Loxley. Tra i due scatta immediatamente la scintilla dell'attrazione. Tuttavia, il ragazzo viene chiamato a servire nella terza crociata in Terra Santa. L'amore, almeno per il momento, dovrà attendere. La location si sposta e l'azione segue Robin insieme ai suoi commilitoni in una città caduta in rovina, nel bel mezzo del fuoco nemico. In questa operazione, il giovane si imbatte in un abile arciere da cui riesce a sfuggire per un soffio. Anche le basi per la futura collaborazione tra Robin e Little John sono state poste. Spedito a casa per diserzione (Robin rifiuta di uccidere il figlio di Little John), il ragazzo trova una Loxley abbandonata a se stessa e scopre di essere dato per morto da ben due anni. Come se non bastasse, la sua amata Marian ha trovato un nuovo compagno e il temibile Sceriffo di Nottingham ha messo alle corde il popolo, giunto, ormai, sull'orlo del baratro.


La leggenda che ha alimentato la letteratura e la filmografia sul fuorilegge più famoso di Inghilterra è stata qui utilizzata come un canovaccio sul quale innestare nuove intuizioni narrative e visive. Su tutte, l'influenza dei cinecomics e dei supereroi è la più massiccia. In modo assai simile al trattamento riservato a Lisbeth Salander nel recente adattamento firmato da Fede Alvarez (Millennium - Quello che non uccide), anche il Robin Hood di Taron Egerton sembra appartenere più alla saga di Fast and Furious o agli Avengers che a una leggenda ben radicata nell'immaginario popolare. È proprio questa forzata attualizzazione dei personaggi, che va di moda ai giorni nostri, a non convincere e a rischiare di lasciare disorientato lo spettatore. L'estetica steampunk e gli effetti speciali in stile Matrix cozzano con il materiale delle leggende originarie, perché privano di “nobiltà” un racconto come quello di Robin Hood per darlo in pasto a una platea di giovanissimi per cui, tuttavia, è inevitabile provare straniamento. E, in effetti, il box-office ha condannato senza appello il film: di fronte a un budget di produzione di 100 milioni di dollari, Robin Hood - L'origine della leggenda ne ha incassati soltanto 84 in tutto il mondo.


In questo ambaradan fumettistico, a uscire sconfitti sono proprio i personaggi, sviluppati come immobili macchiette vittime di un contesto da videogioco che non sembra prendersi il giusto tempo per presentarli ed approfondire le motivazioni alla base delle loro azioni. I cavalli corrono, le carrozze si trasformano in macchine rombanti ed il tempo va alla velocità della luce. Peccato che il prezzo da pagare sia la totale assenza di evoluzione per Robin e soci e la confusione in ogni coreografia di massa. Piuttosto che donare un personaggio alla leggenda, una scelta del genere gli riserva soltanto il baratro dell'oblio.


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