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Wildlife

26/11/2018 11:00

Marcello Perucca

Recensione Film,

Wildlife

Paul Dano esordisce alla regia

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Paul Dano esordisce alla regia, realizzando Wildlife, in concorso al 36° Torino Film Festival: un film magistrale. Tratto dal romanzo omonimo dello scrittore statunitense Richard Ford, il film di Dano riesce a coniugare la maestosità del paesaggio del Montana con le vicende personali e drammaticamente normali della famiglia Brinson. Siamo nel 1960, in un piccolo villaggio ai piedi delle Montagne Rocciose. Il quattordicenne Joe, trasferitosi da poco in paese assieme ai genitori Jerry e Jeanette, è il testimone incolpevole del progressivo sfaldamento dei rapporti all’interno della propria famiglia. Nella scena iniziale, solo apparentemente idilliaca, vediamo Joe giocare a football con il padre. Tutto sembra perfetto. Una famiglia del ceto medio americano che vive in una tipica villetta con giardino. Padre e madre paiono fieri dei risultati scolastici del figlio e della sua capacità di emergere nella squadra locale di football. Tutto falso. Paul Dano ci porta ben presto a scoprire come, in realtà, sotto quella patina di normalità ci sia una situazione familiare poco stabile. I Brinson si sono da poco trasferiti in cerca di miglior fortuna; il padre lavora come caddy in un club di golf dal quale verrà, ben presto licenziato, mentre la madre Jeannette, ex insegnante, è a casa senza un lavoro e il giovane Joe non è brillantissimo a scuola e, nella squadra di football, risulta emarginato dai compagni.


Il sogno americano è un'illusione: gli spettatori rimangono invece colpiti dal repentino precipitare degli avvenimenti, allorché Jerry deciderà di partire come volontario nei gruppi di supporto ai vigili del fuoco locali, impegnati nelle operazioni di spegnimento di un enorme incendio che sta divorando ettari ed ettari di bosco sulle pendici delle vicine montagne. Jeannette, che non accetterà la decisione del marito di abbandonare, anche se solo momentaneamente, la propria famiglia per poter lavorare, entrerà in uno stato di depressione che la porterà a concedersi a un uomo benestante, molto più anziano di lei, sotto gli occhi impotenti del figlio. In Wildlife, come detto, la macchina da presa utilizza la grandiosità degli spazi aperti del Montana contrapponendoli a quelli chiusi familiari che ci raccontano di una vicenda privata vista con gli occhi di Joe, unico personaggio privo di colpe del film. Dano utilizza la metafora del fuoco che divora la natura senza lasciare nulla dietro di sé per descrivere la distruzione della famiglia Brinson. La fotografia di Diego Garcia riesce a cogliere in maniera perfetta, da un lato la maestosità del paesaggio e, dall’altro la faccia oscura di un’America che non sembra quella dell’opulenza di quegli anni, ma che sembra piuttosto uscire direttamente dai tempi della grande depressione vista nel Furore di John Ford, soprattutto nelle scene che riprendono la partenza di Jerry per il fronte dell’incendio e gli accampamenti dei volontari.


Wildlife è una pellicola che non ha cedimenti, aiutata anche dalle prove di tutti gli attori, eccellenti nel delineare i caratteri dei personaggi. Jake Gyllenhaal nella parte di Jerry, Carey Mulligan in quella di Jeanette e, soprattutto, Ed Oxenbould che interpreta il giovane Joe, riescono a rendere in maniera perfetta il senso di sconfitta che li pervade. Joe osserva e, significativamente, verrà assunto come aiutante di un fotografo: utilizzerà non più il suo sguardo ma quello di una macchina fotografica per immortalare, con un autoscatto lui e i genitori che mostrano, negli occhi, tutto il senso della loro sconfitta e, per trasposizione, quello di un’intera nazione.


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