Netflix in primis e lo streaming in generale hanno cambiato il nostro modo di guardare film e serie tv. L’incessante aggiornamento del catalogo ogni settimana ci costringe a un binge watching costante in cui ingurgitiamo sensa sosta ore e ore di programmi. Una sporta di bulimia cinematografica. Ciò ha portato a un inevitabile, quanto fisiologico, abbassamento del nostro livello di attenzione. Quante volte succede di giocare con il cellulare, controllare i social mentre sullo schermo Netflix skippava in automatico all’episodio successivo? Sempre più raramente, capita che un film riesca a catturare in una manciata di minuti l’attenzione dello spettatore, facendogli dimenticare la sua vita social per un paio d’ore: Cam è uno di quei film. Dopo essere stato presentato al Fantasia Film Festival e al Fantastic Fest, Cam è approdato su Netflix lo scorso 16 novembre. Prodotto dalla Blumhouse di Jason Blum (che tante gioie ha regalato negli ultimi anni, ma anche diverse delusioni) con un pugno di attori e ancor meno location, Cam è uno di quei film inetichettabili, in bilico tra il thriller, l’horror e il dramma psicologico, che afferrano alla gola e non mollano fino ai titoli di coda. Anzi, quando lo schermo diventa nero e i nomi iniziano a scorrere, un senso di angoscia schiaccia lo stomaco dello spettatore. Plauso d’onore al regista Daniel Garber, qui al suo esordio dietro la macchina da presa. La storia alla base di Cam è tanto semplice quanto efficace: Alice Ackerman (la bravissima Madeline Brewer, già vista in Orange is the new black e The Handmaid’s Tale) fa la cam-girl sotto lo pseudonimo di Lola. Le cam-girl sono ragazze che inscenano spettacoli erotico/pornografici su internet (riprese da una webcam, appunto) chattando direttamente con i clienti e mettendo in scena le loro fantasie sotto compenso. Lola è in procinto di entrare a far parte della TOP 50 delle migliori camgirl del sito per cui lavora, quando qualcuno le ruba l’identità . Letteralmente. Non solo la ragazza non riesce più ad accedere al proprio account, ma una persona in tutto e per tutto identica a lei ne fa uso, esibendosi sul web come se fosse lei. Da questa semplice premessa nasce un film solido, teso, ma soprattutto ossessivo, che in più di un’occasione riecheggia la paranoia tecnologica tanto cara a Black Mirror ed Electric Dream. Garber utilizza lo schermo del computer come se fosse lo specchio (deformante) della vita della protagonista: una realtà artificiale in cui nulla è come sembra. Con questo stratagemma riesce a mettere in scena le ossessioni, le contraddizioni e soprattutto le perversoni non solo di Alice, ma della nostra società contemporanea, sempre più volta al mondo dei social media, in cui nulla è come appare e dove la sola cosa che conta è diventare popolari. Non importa a quale prezzo. Una volta estromessa dal proprio account, privata del suo alter-ego (Lola è popolare, in ascesa, corteggiata da tantissimi followers e invidiata da molte delle altre camgirl), Alice si ritroverà sola, abbandonata, costretta a fare i conti con la sua vita solitaria e soprattutto con la propria famiglia, che ignora totalmente la sua vita sul web. Ottimo il lavoro della sceneggiatrice Isa Mazzei, anch’essa esordiente, ex-camgirl, che ha infarcito lo script con una serie di dettagli di quel mondo, tanto sottili che lo spettatore nemmeno li percepisce, eppure necessari per rendere la vicenda terribilmente reale.