Alla fine dei lunghissimi titoli di coda di Avengers: Infinity War, mentre il pubblico era ancora frastornato da ciò che aveva appena visto, compare la consueta scena che funge da gancio al continuo espandersi dell’UCM. Vediamo Nick Fury (il grande escluso del film) che, prima di diventare cenere, riesce a inviare un messaggio d’aiuto attraverso un bizzarro cercapersone. Chi avrà chiamato? La risposta è Captain Marvel, ovviamente. E chi è costei? La risposta è questo film, il secondo (dopo Antman and the Wasp) che si piazza nell’intervallo del capitolo conclusivo di questa lunghissima epopea iniziata 11 anni fa.
Per i Marvel Studios questo è il film numero 21 della saga e il primo ad avere al centro della vicenda una supereroina. Dopo aver introdotto personaggi come Vedova Nera o Scarlet Witch in ruoli secondari, Captain Marvel è la prima protagonista femminile, il che (pur arrivando 2 anni dopo Wonder Woman) ha messo il film sotto una deformante lente d’ingrandimento. Come già accaduto con Black Panther, anche questo capitolo è finito al centro di controversie, strumentalizzato dalle due opposte fazioni di #Metoo e alimentando il polverone – accuse sessiste a Brie Larson, boicottaggio del film su Rotten Tomatoes – cui Hollywood si trova avvolta da ormai qualche anno. Ma questi sono solo fronzoli: proviamo a fare un passo indietro e a giudicare Captain Marvel non come una bandiera femminista, né come un pezzo di un puzzle (in questo caso è semplice dato che la storia è un grosso antefatto alla Fase 1), ma vedendolo come ciò che è: un film.
Un film che si regge benissimo sulle proprie gambe (anche se ovviamente non mancano i collegamenti all’universo condiviso) e che riesce ad assestare buoni colpi di scena, oltre che a fare della presa di coscienza di Captain Marvel una metafora dell’emancipazione femminile.
Vers è una guerriera dal passato confuso, che combatte insieme ai Kree dando la caccia ad alieni mutaforma noti come Skrull. Durante una caccia finisce però accidentalmente sulla Terra del 1995, dove entra in contatto con Nick Fury, futuro diurettore dello S.H.I.E.L.D.
Captain Marvel si accoda al filone spaziale inaugurato con Guardiani della galassia e proseguito con Thor: Ragnarok, introducendo nuove dinamiche e razze aliene. A inizio film c’è davvero molta carne al fuoco, ma tutto viene chiarito in modo esemplare, che non fa mai sentire lo spettatore confuso. A sorpresa, una delle cose più riuscite del film è Samuel L. Jackson: il suo Nick Fury è finalmente co-protagonista e, a più riprese, ruba letteralmente la scena a tutti e tutto. Nonostante lo scetticismo di farlo ringiovanire digitalmente di 25 anni, e inquadrarlo per una buona metà del minutaggio, il suo aspetto è sempre credibile; inoltre ha le migliori one-liner in sceneggiatura e il suo rapporto con Brie Larson assume a tratti i connotati di un buddy-movie in pieno stile anni ’90. Un po’ Arma Letale, un po’ 48 ore, ma con l’aggiunta degli alieni.
Un altro aspetto che destava perplessità era proprio l’ambientazione 90s: si temeva un effetto revival come quello che stanno subendo (da un po’ ormai) gli anni ’80. Invece, dopo un entrata in scena a gamba tesa a colpi di Blockbuster, telefoni a gettoni e modem a 56K, tutta questa smaccata nostalgia viene confinata sullo sfondo, emergendo solo di tanto in tanto, senza essere fastidiosa. Un discorso che non vale per la colonna sonora, che inserisce vecchie hit in maniera troppo forzata: purtroppo Ryan Fleck e Anna Boden non sono James Gunn e il gioco risulta a tratti stucchevole.
Quella che invece proprio non funziona è Brie Larson, che recita 124 minuti con espressione supponente, svogliata e a tratti arrogante. Ok, il suo personaggio fa parte di una ferrea gerarchia militare, ma lascia così poco spazio ai sentimenti che è impossibile empatizzare con lei. Il personaggio di Captain Marvel non ha una vera e propria evoluzione (non è una storia d’origini in senso classico) né tantomeno un’apertura con un qualsiasi altro personaggio (a parte una pretestuosa scena davvero poco emotiva): durante il primo allenamento con Jude Law ostenta il suo atteggiamento strafottente e lo stesso è riproposto identico durante lo scontro finale.
In fin dei conti anche Captain America era un soldato dalla rigida morale, ma comunque nel primo film divideva i suoi sentimenti tra l’amicizia per Bucky e l’amore per l’agente Carter. Brie Larson no: non prova nulla per nessuno, solo un'accennata relazione sentimentale (amore o amicizia, non è dato saperlo) con una ex-commilitona.
E dire che il film inizia alla grande dal punto di vista emotivo, sferrando un pugno allo stomaco con un doveroso tributo a Stan Lee sul quale la sala è esplosa in uno scroscio d’applausi e, sicuramente, si saranno inumiditi più di un paio di occhi: il picco emozionale di Captain Marvel, che a fine visione risulta un film esteticamente bello ma emotivamente freddo.