José Alberto Mujica Cordano, conosciuto semplicemente come Pepe Mujica, è stato eletto presidente dell’Uruguay all’età di 75 anni nel 2010, dopo una lunga attività politica in veste di senatore e un passato da guerrigliero nei Tupamaros, formazione di ispirazione marxista-leninista attiva negli anni Sessanta e Settanta. Quando nel 1973 il paese cadde in mano a una feroce dittatura militare, molti leader e attivisti Tupamaros vennero catturati e incarcerati. Fra questi Mujica e altri due compagni - Mauricio Rosencof ed Eleuterio Fernández Huidobro - che dovettero scontare dodici anni di prigionia durissima, sottoposti a un regime disumano di isolamento in minuscole celle che, spesso, si trovavano sotto terra, prive della luce del sole. Più che prigionieri: ostaggi di uno stato totalitario che, non potendo ucciderli cercava, adottando nuove forme di tortura, di condurli alla pazzia. Del periodo di detenzione di Mujica, Rosencof e Huidobro parla il bellissimo e commovente Una notte di 12 anni. Scritto e diretto con mano sicura dal regista uruguayano Álvaro Brechner, qui al suo terzo lungometraggio, il film si muove attraverso il periodo della lunga prigionia – durata per l’appunto dodici anni - con alcuni flashback antecedenti l’arresto di Pepe Mujica, ferito gravemente in un conflitto a fuoco con l’esercito. Inizia da qui il calvario dei tre, fatto di privazioni, sofferenze fisiche e psichiche, privati delle necessità fondamentali. Eppure la forza di volontà dei tre combattenti per la libertà riuscirà a essere più forte delle sevizie dei loro carcerieri, permettendogli di arrivare vivi al momento della liberazione allorché nel paese tornò la democrazia. Álvaro Brechner è molto bravo a rendere il senso della profonda sofferenza dei prigionieri, benissimo interpretati da Antonio De La Torre, nel ruolo di Mujica, Alfonso Tor in quello di Eleuterio Fernández Huidobro e Chino Darín nella parte di Rosencof. I tre attori, per poter interpretare le loro parti, si sono dovuti sottoporre a un durissimo lavoro psicologico e fisico, dimagrendo di 15 chili. Il regista (considerato uno dei nuovi talenti del cinema sudamericano), utilizzando con maestria la macchina da presa con la quale, spesso, sta addosso ai personaggi, realizza inquadrature mai banali e, unitamente a un montaggio serrato, comunica allo spettatore tutta la violenza alla quale i prigionieri venivano sottoposti. Picchiati, incappucciati, sporchi e denutriti, senza possibilità di comunicare fra loro se non attraverso un artifizio collaudato dai tre per scambiarsi informazioni attraverso un codice riprodotto con le mani battute sui muri delle celle, erano soggetti a una violenza di tipo fisico ma, soprattutto, psicologico, che spesso li ha condotti sull’orlo della pazzia. La loro è una vera e propria discesa agli inferi che ne mina la forza di volontà. Non mancano nel film alcune scene grottesche come quella in cui un gruppo di militari si accalca intorno a Huidobro che, ammanettato nel gabinetto, non riesce a defecare perché le manette troppo corte gli impediscono di chinarsi. Ma la scena, apparentemente comica, rivela tutta la sua assurda drammaticità allorché, per risolvere il problema, si arriva a consultare dapprima un sottufficiale, poi il comandante per giungere, alla fine, a un generale, mettendo a nudo la profonda ottusità della dittatura. Il film si avvale della bella fotografia di Carlos Catàlan e della colonna sonora originale di Federico Jusid, con la musica che viene distorta nei momenti in cui la psiche dei prigionieri sembra cedere, rendendo alla perfezione l’idea della sofferenza mentale. Impreziosisce la pellicola una struggente versione di The Sound of Silence, interpretata dalla calda voce di Silvia Pérez Cruz, che accompagna il lento trascorrere degli anni di prigionia. Una notte di 12 anni, basato sul libro Memorie del calabozo di Maurizio Rosencof ed Eleuterio Fernández Huidobro, uscirà nelle sale italiane il 10 gennaio. Un film da non perdere, straziante, commovente. Che rende onore a Pepe Mujica, fra le più belle figure politiche degli ultimi cinquant’anni, e che ha fatto della coerenza il suo stile di vita, e sulla quale era già stato realizzato un documentario, El Pepe, una vida suprema, di Emir Kusturica.