Rheinardt Heydrich, conosciuto con il triste soprannome de “Il Macellaio di Praga”, fu uno tra i più importanti gerarchi nazisti e fra i più stretti collaboratori di Heinrich Himmler, che lo mise a capo del servizio di controspionaggio tedesco permettendogli di scalare le gerarchie sino a essere nominato governatore a Praga, dove ordinò sanguinose repressioni che gli valsero il suo lugubre soprannome. Nel gennaio del 1942 Heydrich tenne a Wannsee la conferenza nella quale venne pianificata la "Soluzione finale della questione ebraica" che diede l’avvio alle deportazioni e allo sterminio degli ebrei. Morì in seguito delle ferite riportate in un attentato compiuto da un gruppo di partigiani cecoslovacchi nella capitale ceca nel maggio del 1942. La vita di Heydrich, con la sua inarrestabile ascesa ai vertici del partito sino alla sua morte, è già stata oggetto nel passato di varie pellicole, fra le quali vanno menzionate Il pazzo di Hitler di Douglas Sirk e Anche i boia muoiono di Fritz Lang. Oggi la storia di questo orrendo personaggio torna a essere narrata nel film del regista francese Cédric Jimenez L’uomo dal cuore di ferro, con Jason Clarke nel ruolo di Heydrich, Rosamund Pike in quello della moglie Lina von Hosten, vera artefice del successo del marito, e Mia Wasikowska che interpreta Anna, giovane militante della Resistenza praghese. Il film è basato sul romanzo HHhH di Laurent Binet (acronimo del tedesco Himmlers Hirn heißt Heydrich, ovvero «il cervello di Himmler si chiama Heydrich»). La sceneggiatura, scritta a quattro mani da Audrey Diwan e David Farre, sufficientemente corretta dal punto di vista storico, ha una struttura complessa, fatta di continui salti temporali che ne spostano ripetutamente l’azione avanti e indietro nel tempo. L’incipit del film è ambientato nel momento dell’attentato, allorché Jozef Gabčík, uno dei partigiani componenti il commando, si para di fronte alla Mercedes di Heydrich cercando di far fuoco sul gerarca. Ma nel momento in cui il suo Sten si inceppa, un fermo immagine interrompe la scena e il film ci proietta indietro nel tempo, quando cioè, nel 1929, Heydrich era un ufficiale della Marina militare tedesca dalla quale venne espulso con disonore. La scena dell’attentato verrà poi ripresa altre due volte nel corso del film. Nella prima un altro fermo immagine verrà utilizzato quando Jan Kubiš, altro componente del commando, vedendo il compagno in difficoltà, si accinge a lanciare una bomba a mano verso l’automobile di Heydrich. Successivamente, dopo altri flashback, assisteremo finalmente al completamento dell’attentato. È chiaro che lo scopo del regista, con questa modalità di progressivo avvicinamento al completamento dell’azione, è di creare uno stato di tensione crescente nello spettatore. Tuttavia, al contrario, la frammentazione eccessiva rende il film, soprattutto nella sua parte centrale, poco fluido e scarsamente avvincente. Ed è un peccato perché interessante, ad esempio, risulta la prima parte, dove viene ben raccontata l’ascesa di Heydrich e dove alla brava Rosamund Pike viene riservata una parte meno defilata rispetto al prosieguo della pellicola. Di grande impatto sono anche le immagini forti della feroce rappresaglia che i tedeschi compiono dopo la morte del gerarca, con l’uccisione a sangue freddo di tutti i maschi del villaggio di Lidice, che verrà successivamente distrutto con il fuoco. Purtroppo questo non basta a fare de L’uomo dal cuore di ferro – coproduzione britannica, francese, belga e statunitense – un’opera sufficientemente apprezzabile. Inoltre, il film sconta un fatto: avvalendosi di un cast anglosassone, questo nell’edizione in lingua originale recita in inglese; c’è come un senso di spaesamento nel sentire i nazisti o i partigiani cecoslovacchi esprimersi in questa lingua. Quello di Jimenez è un film che fa pensare più a un prodotto televisivo a puntate in cui i vari episodi sono stati compressi sino ad arrivare alle sue due ore di durata.