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Obbligo o Verità

15/04/2019 10:00

Matteo Marescalco

Recensione Film,

Obbligo o Verità

Forte concept di partenza, budget limitato, attori alle prime esperienze, originalità creativa e di scrittura

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Un anno dopo aver piazzato due incredibili successi di critica e di pubblico come Scappa-Get Out (255 milioni di dollari a fronte di un budget di 4) e Split (incassi da 278 milioni a partire da un budget di produzione di 9), il guru dell'horror contemporaneo è tornato con un nuovo prodotto. Obbligo o verità si aggiunge alla scuderia di Jason Blum, che annovera tra i suoi successi Paranormal Activity, Insidious, Unfriended, La notte del giudizio e The Visit.


Il film, diretto da Jeff Wadlow, rispetta a pieno titolo il metodo Blum: forte concept di partenza, budget limitato, attori alle prime esperienze, originalità creativa e di scrittura e forte attenzione al proprio target di riferimento. Alla base di Obbligo o verità c'è un gruppetto di amici che decide di trascorrere insieme in Messico il loro ultimo spring break. La vacanza trascorre tra Instagram Stories e post online che mostrano al mondo la leggerezza e la spensieratezza del week-end. Durante l'ultima sera, rigorosamente a base alcoolica, i ragazzi incontrano un coetaneo che li indirizza ad una chiesa abbandonata e che propone loro di giocare tutti insieme ad obbligo o verità. Tuttavia, una volta tornato a casa, il gruppo si accorge che il gioco non è terminato con la fine della vacanza ed il ritorno in università: una forza oscura, infatti, obbliga i ragazzi a continuare a rispondere alle domande e ad alzare la posta in gioco, minacciando le loro vite in caso di ritiro dal rigido meccanismo ludico. Il banale obbligo o verità si trasforma in un portale attraverso cui il Male prova ad impadronirsi del mondo.


Dopo le nomination e le vittorie ai Premi Oscar, gli incassi pluri-milionari e la risurrezione di un regista caduto in disgrazia come M. Night Shyamalan, la factory di Jason Blum continua ad essere instancabile e a macinare successi.


È bene precisare che Obbligo o verità non appartiene ai progetti di serie A del brand Blumhouse. Più che altro, in pieno stile Roger Corman, si tratta di un progetto di serie B da lanciare al cinema durante la stagione estiva o poco prima. Nonostante sia un prodotto di modesta riuscita e privo di particolari trovate registiche e di scrittura, il film porta avanti il suo obiettivo senza troppe difficoltà, dimostrandosi sempre consapevole della contemporaneità in cui si inserisce e dei meccanismi drammaturgici alla base del genere horror. Tutta la prima parte di Obbligo o verità, infatti, è costruita attraverso una dialettica intermediale tra le immagini cinematografiche e gli stilemi linguistici dei new media che si innestano nel tessuto visivo e danno vita ad un link immaginario capace di attirare gli spettatori più giovani.


Probabilmente, il maggior pregio del film risiede proprio in questo: nella consapevolezza della sua natura da teen-movie e nell'assenza di sovrastrutture politiche e sociali che ne avrebbero appesantito la ricezione. Obbligo o verità si presenta come un candido prodotto medio realizzato per intrattenere il pubblico adolescenziale. Un ulteriore plauso va all'assenza di una grossa quantità di jump-scares: qui, la paura è, soprattutto, una questione di sguardo e di deformazioni facciali. Nell'era dei selfie e del primo piano, è abbastanza logico che sia così.


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