
Anthony Maras sembra sbucare dal nulla, ma in realtà il suo è un percorso interessante che merita una piccola premessa. Regista, sceneggiatore e produttore australiano, negli anni ha maturato una notevole consapevolezza del linguaggio cinematografico e delle regole della tensione. Un percorso iniziato nel 2005 con Azadi, proseguito con Spike Up (2007) e concluso con abilità nel 2011: The Palace è una sorta di preludio a quello che poi sarà Attacco a Mumbai - Una vera storia di coraggio. Non tanto per la storia, con la quale non ha alcun elemento in comune, eccetto lo scheletro narrativo, ma per lo stile di ripresa (camera a mano che ti fa sentire parte dell’azione), alla fotografia sempre molto curata e al montaggio serrato. Qualcuno opportunamente lo ha associato a Paul Greengrass - acerbo, probabilmente, ma avercene come lui - con la differenza che Maras porta avanti un discorso più empatico che d'inchiesta. Lo si percepisce dai primi piani ostentati dei suoi personaggi: è palesemente ossessionato dalle emozioni. Tre corti, i suoi, che ritraevano situazioni di emarginazione; che alternavano tumulti civili a conflitti interiori e ponevano l’accento sulla dignità sociale, sulla segregazione forzata come punto di svolta per riflettere sulle diseguaglianze sociali. E qui arriviamo ad Attacco a Mumbai - Una vera storia di coraggio, suo lungometraggio d'esordio col quale si presenta al grande pubblico. Il 26 novembre del 2008 un gruppo di fondamentalisti islamici sconvolsero Mumbai e il mondo intero. Per la comunità Indiana fu come vivere l’11 Settembre. Per tre giorni gli attentatori seminarono il panico per le strade, nelle stazioni, fino a raggiungere il Taj Mahal Palace, dove tennero in ostaggio oltre 500 persone. I dipendenti dell’hotel, capitanati dallo chef capo Oberoi (Anupam Kher) e da Arjun (Dev Patel), un cameriere che non avrebbe dovuto lavorare lì quel giorno, si rendono testimoni di un evento che cambierà le loro vite. Servire l’ospite è il mantra che recitano prima di fronteggiare insieme la minaccia con la consapevolezza che il destino si scrive affrontando la paura, non facendosi fagocitare da essa. Attacco a Mumbai - Una vera storia di coraggio saccheggia dalla storia volti e ferite per raccontare la reazione alla minaccia terroristica; ne modifica i tratti per favorire il senso di comunità in situazioni al limite. Sebbene gli eventi vengano rimescolati e dei personaggi reali restino vestiti macchiati di sangue e profili sfocati, Attacco a Mumbai - Una vera storia di coraggio centra l’obiettivo: è un thriller coinvolgente che rivolge lo sguardo all’attualità senza puntare il dito sulle motivazioni politiche del conflitto. Il film di Maras imbastisce la classica struttura della caccia all'uomo, con i rifugiati che fuggono e fronteggiano i kalashnikov: la coesione e l’accettazione delle singole diversità contro la violenza ingiustificata. Un clima di terrore condiviso tanto dai protagonisti - la storia si snoda da diversi punti di vista - quanto dallo spettatore, che si trova suo malgrado a vivere passivamente una fuga che lascia col fiato sospeso. La scrittura di Maras è asciutta, non sempre bilanciata (con personaggi dalla forte personalità fiancheggiati ad altri bidimensionali) eppure trova opportunamente la quadra in ogni situazione e regala intensi momenti di suspance. In Attacco a Mumbai - Una vera storia di coraggio nulla di ciò che accade sembra avere senso; la riflessione del regista, circoscritta ad un paio di battute che sembrano casuali (alcune delle quali interpellano la religione come inspiegabile fattore scatenante, in un evidente disequilibrio sociale, tra la ricchezza ostentata degli ospiti dell'hotel e la deprimente povertà vissuta nelle baraccopoli) invece ne evidenziano le contraddizioni, le zone d'ombra di una società che non ha avuto il coraggio di porsi alcune domande quando avrebbe potuto fare la differenza. Da un punto di vista stilistico e narrativo, l'opera di Maras si avvicina alla sensibilità celebrativa del cinema americano. È lontano, insomma, il Gus Van Sant di Elephant sulla strage di Colombine: Attacco a Mumbai - Una vera storia di coraggio si pone semmai come ponte tra World Trade Center di Oliver Stone e United 93 di Paul Greengrass. Se alla fine i buoni sentimenti hanno la meglio, con dei titoli di coda che riconciliano lo spettatore con la sfera più costruttiva e altruista dell’essere umano, il film lascia dietro di sè una scia di sangue, corpi inermi e lacrime dei protagonisti. Le ingenuità di scrittura e le esaltazioni eroiche, che portano al climax telefonato, non rendono il film meno efficace o emozionante.