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Pelican Blood

30/08/2019 10:00

Roberto Semprebene

Recensione Film,

Pelican Blood

Il tema dell’adozione internazionale e dell’infinito amore di una madre

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L’Edizione 76 della Mostra del Cinema di Venezia si presenta come fortemente caratterizzata dall’universo femminile e dal rapporto madre-figlia: se infatti Le verità ci presentava il rapporto dolce-amaro fra una diva e sua figlia, al centro di Pelican Blood, in originale Pelikanblut, letteralmente “Sangue di Pellicano”, c’è il tema dell’adozione internazionale e dell’infinito amore di una madre, capace di trascendere qualsiasi limite e adottare qualsiasi mezzo pur di perseguire il bene di sua figlia.


Diretto da Karin Gebbe e interpretato con grande intensità da Nina Hoss, Pelican Blood trae spunto dall’interpretazione araldica del pellicano come animale simbolo della pietà e dell’amore per il prossimo, esemplificato nella credenza che lo stesso arrivasse a ferirsi il petto per nutrire con il proprio sangue i suoi piccoli. Nella vita di Wiebke (Hoss), donna tedesca, single, che per mestiere addestra cavalli, e di sua figlia Nikolina, irrompe una bambina di cinque anni, adottata dalla donna in Bulgaria. La piccola Raya sembra una bimba come tutte le altre, addirittura felice: l’adozione diventa un momento di grande gioia per tutte e tre. Ben presto però, Raya comincia a manifestare comportamenti violenti e devianti, sintomi di un disturbo dell’attaccamento che la rendono un potenziale pericolo per sé e soprattutto per gli altri. Wiebke cercherà ogni possibile mezzo per curare sua figlia, dandole attenzioni tali da minare il rapporto con Nikolina, più grande ma pur sempre bambina, e alienandole le simpatie di tutti i genitori i cui figli sono vittime del disturbo di Raya. Ad aiutare la donna, un poliziotto a cavallo che si allena con la sua squadra presso il maneggio di Wiebke. L’uomo saprà esserle di supporto, almeno in parte, costruendo un rapporto con Nikolina, ma non riuscendo a fare piena breccia in Raya o nella stessa Wiebke. E nella relazione con quest’uomo si evidenziano i limiti personali di Wiebke, apparentemente dura e autosufficiente, ma al contempo emotivamente fragile ed evidentemente sola. Per quanto l’uomo cerchi di manifestare solo buone intenzioni e si cali con la massima delicatezza nella vita di Wiebke, la sua volontà si scontrerà con la ferma determinazione della donna a non arrendersi con Raya, anche a costo di sacrificare la razionalità e i comuni limiti di accettazione.


Pelican Blood ha un’evoluzione particolare, che da dramma familiare si declina gradualmente nell’horror psicologico, per sfociare in derive mistiche e paranormali senza lasciar davvero presagire allo spettatore questa progressiva degenerazione. Non si può arrivare a parlare di incoerenza: la tesi di fondo è che una madre, per il bene di una figlia, arriverebbe a provare qualsiasi assurdità. Eppure un senso di straniamento accompagna le scene finali del film, che portano a chiedersi se, nel perseguire l’obiettivo primario della storia, la regista non abbia in qualche modo scavallato un limite. L’epilogo, infatti, cozza con l’impianto realistico che lo contraddistingue per buona parte, sfociando in un ribaltamento prospettico che ne mina la coerenza interna.


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