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La casa del diavolo

27/09/2019 10:00

Marco Filipazzi

Recensione Film,

La casa del diavolo

Un road-movie lastricato di sangue e violenza

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Nel 2003 Rob Zombie esordisce alla regia con La casa dei 1000 corpi, un horror (e una carriera, quella di regista cinematografico, che Zombie si è improvvisato a fare) a cui nessuno dava credito. Eppure, contro ogni previsione, diviene subito un cult. Il merito va proprio a Rob Zombie, che da subito sfodera uno stile personale, satura ogni scenografia e dialogo con dettagli, rimandi e ammiccamenti sia all’horror che della cultura pop in generale; e soprattutto sa come crogiolare e sorprendere i suoi fan perché lui per primo lo è. Condisce il tutto con personaggi (i cattivi ovviamente) che già sulla carta ambiscono a diventare nuove icone del genere e il cult e servito. Nel 2005 ci riprova con il sequel La casa del diavolo, titolo ben più blando dell’originale The Devil’s reject.


Nonostante siano passati solo due anni dal primo capitolo, sembrano 10 data la maturità che Rob Zombie dimostra sia come sceneggiatore che come regista. Al centro della storia ci piazza quelli che, in mezzo a un cast corale, erano i personaggi più affascinanti: Baby, interpretata da Sheri Moon Zombie, giovane, sexy e psicopatica; Otis, che ha le fattezze di Bill Moseley, violento, aggressivo e svuotato da qualsaisi sentimento. Infine Capitan Spaulding, un tizio vestito da clown che gestisce una bizzarra stazione di servizio, tra tunnel degli orrori, chincaglieria, memorabilia e il miglior pollo fritto dello Stato. A interpretarlo è quel caratterista senza tempo di Sid Haig, qui al suo ruolo più iconico, ma che nel corso di 60 anni di carriera ha lavorato con Jack Hill, George Lucas e Quentin Tarantino, oltre che con Rob Zombie per ben 4 volte.


La storia riprende, da dove l’avevamo lasciata: la polizia fa irruzione alla fattoria Firefly, arrestando la madre mentre Otis e Baby riescono a scappare, rifugiandosi in un motel in attesa che Capitan Spaulding li raggiunga con un piano per fuggire. Sulle loro tracce vi è lo sceriffo Wydell (fratello dell’omonimo sceriffo ucciso da Otis nel film precedente) assetato di vendetta e bramoso di sterminare i reietti del Diavolo.


Di fatto La casa del diavolo è un road-movie lastricato di sangue e violenza, nel quale il regista affonda ancor di più il piede sull’acceleratore, affinando il suo stile baracconesco, rendendo i dialoghi più memorabili e citazionistici, ma soprattutto dando prova di una cultura di genere che pochi possiedono. Non a caso è stato accostato a più riprese a Tarantino... scusate se è poco! Basta la sola scena in cui Otis, scostandosi i lunghi capelli dal volto, fissa la vittima riversa a terra, in procinto di morire per mano sua, e recita «Io sono il Diavolo e sono qui per fare il lavoro del Diavolo» (la stessa frase che Tex Watson, braccio destro di Charles Manson, disse a Sharon Tate prima di ucciderla) per rendersi conto di quanto Rob Zombie si crogioli in questo genere, mischiando continuamente realtà e finzione.


Gli attori, tutti di alto livello, recitano costantemente sopra le righe e hanno la faccia di caratteristi del genere - e non - come Ken Foree (Zombi di Romero), Michael Berryman (Le colline hanno gli occhi di Wes Craven), Leslie Easterbrook (la Debbie Callahan di Scuola di Polizia), il wrestler Dallas Page e infine Danny Trejo. Ma su tutti svetta Sid Haig, che qui rinuncia al costume da clown che lo aveva caratterizzato nel primo film e poggia tutta la recitazione sulle sue spalle (e la sua faccia struccata e solcata da rughe) rendendo, se possibile, Capitan Spaulding ancora più iconico.


Il finale, poi, sembra un videoclip per cui Freebirds dei Lynyrd Skynyrd è stata scritta appositamente: basta questa scena per capire quanto passione Rob Zombie riversa nei suoi film, ma soprattutto di come abbia una chiara visione delle scene che gira. Da sola vale più dell’intera filmografia di molti altri registi. Un finale lunghissimo, trascinato, impietoso, in cui non ci sono parole, ma solo mucisa e montaggio... un montaggio perfetto, lucido, per una sequenza che fa venire i brividi anche alla centesima visione! La chiusura perfetta di un dittico che però è destinato a diventare una trilogia. 3 from Hell è infatti il titolo della terza avventura della famiglia Firefly (dei suoi superstiti almeno), che è arrivata in release limitata sugli schermi USA nel weekend del 20-22 settembre, a 14 anni di distanza dal film precedente. Al momento non ci sono notizie di un’uscita italiana, perciò i fan dovranno attendere, sperando almeno che arrivi diretta sul mercato home video come già avvenuto con 31.


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