
All’inizio del ventennio fascista, la maggior parte delle associazioni giovanili diverse dall’Opera Nazionale Balilla vennero chiuse per decreto del Duce. Non sfuggì a questa sorte l’Asci, l’Associazione degli Scout Cattolici Italiani. Tuttavia un gruppo di ragazzi si ribellò a questo ordine decidendo di proseguire in clandestinità la propria attività scoutistica, continuando a perseguire i valori di pace, fratellanza e accoglienza. Erano i componenti di un gruppo di scout cattolici che assunsero il nome di Aquile Randagie, a sottintendere lo spirito libero dell’aquila e, dall’altro, il loro essere stati privati di un luogo ove potersi riunire e condividere i propri valori. Guidati dai loro capi Andrea Ghetti, Giulio Cesare Uccellini e Don Giovanni Barbareschi - allora giovane diacono - i ragazzi iniziarono a riunirsi clandestinamente, spesso in luoghi montani selvaggi e deserti come quelli della Val Codera, valle secondaria della Val Chiavenna. La loro attività scoutistica proseguì così, fra mille difficoltà e insidie, durante tutto il periodo della dittatura, spiati e seguiti dalle Camicie Nere che arrivarono anche a massacrare di botte Giulio procurandogli la lesione permanente di un orecchio. Poi, a partire dall’8 settembre 1943, le Aquile Randagie si impegnarono nella Resistenza, entrando a far parte di “Oscar”, l’Organizzazione Scout Cattolica Assistenza Ricercati che, con azioni mirate e rischiose, aiutava molti ricercati a fuggire e rifugiarsi in Svizzera sotto false identità. Si calcola che più di 2000 persone ricercate dai nazifascisti, fra ebrei e perseguitati politici, vennero aiutate dall’organizzazione a fuggire e mettersi in salvo. Alla fine della guerra, “Oscar” e le Aquile Randagie, coerenti con le loro idee di non violenza e con l’avallo dei comandi partigiani, si adoperarono per evitare rappresaglie contro i vinti, consegnando agli Alleati numerosi fascisti e nazisti che si erano macchiati di crimini, chiedendo per loro un giusto processo. Tutto ciò viene narrato nel film di Gianni Aureli Aquile Randagie, già presentato al Giffoni Film Festival e proposto nelle sale con una uscita-evento dal 30 settembre al 2 ottobre. Prodotto da Finzioni Cinematografiche con il contributo, fra l’altro, delle Associazioni scoutistiche italiane Agesci e Masci, il film di Aureli ha un merito: quello di raccontare, cosa unica nel nostro panorama cinematografico, il mondo scout e di evidenziare, inoltre, un aspetto poco conosciuto della Resistenza italiana al nazifascismo. Avvalendosi di figure realmente esistite, come i capi delle Aquile, insieme ad altre di fantasia, come Elena, la giovane staffetta che affianca l’attività clandestina degli scout, rappresentativa delle innumerevoli giovani donne che diedero il loro contributo e, spesso, la vita alla lotta di liberazione, Aureli ha lavorato accuratamente alla ricerca storica. Grazie anche al contributo fondamentale proprio di Don Giovanni Barbareschi, medaglia d’argento della Resistenza e insignito del titolo di Giusto fra i Giusti. Purtroppo però al film di Aureli manca una profondità di fondo; è sprovvisto di quell’afflato epico che gli avrebbe permesso di rientrare a pieno titolo fra le pellicole che hanno raccontato la guerra e la lotta di Liberazione. L’andamento, al contrario, è più da fiction televisiva e la recitazione di molti dei giovani attori è approssimativa, non all’altezza dei ruoli che essi interpretano. Un peccato, perché è sicuramente azzeccata l’idea di raccontare un episodio poco conosciuto della nostra storia nonché l’importante figura di Don Barbareschi. Un uomo che seppe aggirare la titubanza dei vertici della chiesa – come ad esempio il Monsignor Montini, futuro Papa Paolo VI e il cardinale Schuster – esponendosi in prima persona sia con la sua attività di soccorso ai perseguitati sia andando a benedire le salme dei quindici partigiani fucilati in piazzale Loreto sotto gli occhi feroci di fascisti e tedeschi. Un sacerdote convintamente antifascista che non ha mai rinnegato le proprie idee sino alla sua scomparsa, avvenuta il 4 ottobre 2018 e che aveva ben presente, come ebbe a dichiarare, un concetto fondamentale, cioè che “non esistono liberatori, bensì popoli che si liberano”.