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Non si può morire ballando

04/10/2019 11:00

Samantha Ruboni

Recensione Film,

Non si può morire ballando

La vita è un campo di fiori con una lavatrice rotta nel mezzo

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La vita è come un campo di fiori con una lavatrice rotta nel mezzo: è questa la metafora che Andrea Castoldi propone allo spettatore, fin dall'inizio del suo film e che sarà il tema portante di tutto il girato. Un cambiamento di rotta di tematiche rispetto al precedente Vista Mare. Qui Castoldi, partendo da un episodio autobiografico, parla della malattia e di come questo peso venga portato avanti dai parenti che si prendono cura di chi è infermo. Castoldi ci porta nelle vite di Massimiliano (Mauro Negri) e Gianluca (Salvatore Palombi), due fratelli uniti da un fortissimo legame. Massimiliano regge il peso della malattia del fratello: a Ginaluca sono rimasti solo tre mesi di vita, ma Massimiliano farà di tutto per salvare il fratello, anche trovare cure alternative. Tali cure sono custodite da un manuale di cui esiste una sola copia. Una cura basata sulle emozioni e sui buoni sentimenti, sulle vibrazioni che l'amore può dare anche alle nostre cellule.


Cambia la tematica del precedente lungometraggio di Castoldi, ma non la qualità, che ricorda più una soap opera che un lungometraggio. I personaggi sono poco approfonditi e mancano le basi per capire le relazioni che intercorrono tra loro e il rapporto tra azioni e reazioni. La sceneggiatura è labile e banale, dove i momenti di crisi si risolvono in maniera frettolosa. I buchi di scrittura sono ovunque e in particolar modo nel racconto dei legami che intercorrono tra Gianluca e la sua famiglia, moglie e figlie. Non c’è empatia e anche la recitazione non aiuta: alla freddezza degli interpreti si alterna il pathos eccessivo di scene e dialoghi che ricordano la fiction televisiva. La malattia viene raccontata in maniera stereotipata, soprattutto se pensiamo a film recenti del panorama internazionale, come ad esempio Babyteeth presentato a Venezia quest'anno.


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