Viene presentato al Torino Film Festival, dopo il buon successo di critica e pubblico ottenuto all’ultima edizione del Festival di Berlino, Dio è donna e il suo nome è Petrunija della regista macedone Teona Strugar Mitevska. Il film della Mitevska, con Zorica Nusheva e Labina Mitevska, quest'ultima sorella della regista, si ispira a un fatto di cronaca realmente accaduto. In Macedonia, ogni inverno, una processione religiosa si conclude con il lancio da parte del pope locale di una piccola croce nel fiume. I giovani del luogo, al lancio dell’oggetto, si gettano virilmente nelle acque gelide nel tentativo di ripescarlo. Il suo ritrovamento sarà indice di benevolenza da parte di Dio e assicurerà fortuna e prosperità. A tale manifestazione religiosa le donne non sono ammesse e quando, pochi anni or sono, è stata una donna a tuffarsi nelle acque gelide recuperando l’oggetto, lo scandalo ha interessato l’intera comunità: era inammissibile che una donna potesse infrangere così impunemente le regole dettate da una comunità di stampo fortemente patriarcale e maschilista rifiutandosi, inoltre, di restituire la croce. Nel film della Mitevska a recuperare la croce è Petrunya (Zorica Nusheva), una trentenne laureata in storia, priva di un lavoro e senza relazioni affettive. Disillusa dalla vita, assillata da una madre possessiva e invadente dalla quale non riesce a distaccarsi, tornando a casa dopo essere stata oggetto di offese da parte del proprietario della ditta presso la quale aveva sostenuto un colloquio di lavoro, si imbatte nella processione. Senza pensarci troppo si lancia in acqua recuperando la croce. Sfuggendo a una sorta di linciaggio da parte dei giovani partecipanti alla manifestazione, Petrunya verrà poi trattenuta in commissariato senza aver commesso alcun reato, interrogata a lungo e invitata più volte dai poliziotti e dal sacerdote a restituire l’oggetto. L’opera della Mitevska, coproduzione macedone, belga, croata e slovena, è una commedia dai sapori tipicamente balcanici nella quale vengono fatti emergere prepotentemente quegli aspetti di fanatismo religioso e di avversione della società verso qualunque forma di emancipazione femminile. Petrunya viene accusata di aver rubato la croce in quanto donna. E, come donna, oltretutto con un aspetto fisico che non rientra nelle norme standardizzate della bellezza, viene trattata con sufficienza dalle forze dell’ordine e dal procuratore che la interroga e che arriva a minacciarla di arresto con l’accusa di provocazione nazionalista e istigazione all’odio razziale e religioso. Unica a prendere le parti della ragazza è una giornalista tv (Labina Mitevska) giunta appositamente da Skopje per seguire il caso rifiutandosi di obbedire alla sua direzione che la invita a disinteressarsene e domandandosi cosa succederebbe se Dio anziché venire raffigurato sempre come entità di sesso maschile, fosse invece rappresentato come donna. La macchina da presa indugia spesso sul primo piano del volto della ragazza dal quale traspaiono diversi stati d’animo, dalla rassegnazione, alla stanchezza, alla volontà di non cedere al volere di chi le vorrebbe far restituire la croce. Nella sua semplicità il film della Mitevska è estremamente duro. Un atto accusatorio senza troppi giri di parole verso i pregiudizi di una società retrograda e maschilista, attaccata alle vecchie tradizioni dalle quali non riesce a emanciparsi: significativo il fatto che i poliziotti redigano il verbale di interrogatorio battendo sopra i tasti di una vecchia macchina per scrivere, anziché su quelli di un computer. Una comunità che considera la donna un essere inferiore, indegno di poter competere in alcun campo con gli uomini. Zorica Nusheva è brava a interpretare il suo personaggio, a infondere alla sua Petrunya quella dignità che le è sempre stata negata. Affascinante il suo personaggio, dall’aspetto solo apparentemente dimesso, dal quale emerge una forza di volontà e una intelligenza che la eleva al di sopra della meschinità del genere maschile dal quale è attorniata e osteggiata. E i toni da commedia grottesca che affiorano dalla sceneggiatura, scritta dalla stessa regista insieme a Emma Tataragic, sono quanto di più azzeccato potesse esserci per far emergere tutto ciò.