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Ms. White Light

29/11/2019 12:00

Valentina Pettinato

Recensione Film,

Ms. White Light

Un dramedy delicato che affronta con la giusta dose di commozione e sarcasmo il tema della morte

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Presentato in concorso a Torino 37, Ms. White Light di Paul Shoulberg è un dramedy delicato che affronta con la giusta dose di commozione e sarcasmo il tema della morte. Lex Cordova (Roberta Colindrez) è una ragazza che viene pagata per assistere malati terminali e aiutarli ad accettare la morte. Il suo è un vero e proprio dono, che gestisce in maniera professionale assieme al padre, con il quale porta avanti questa particolare impresa di famiglia. Se da una parte mostra di essere molto brava con le persone in fin di vita, dall’altra è disastrosa con tutti gli altri. Sarà grazie a Nora, un’ex cliente ossessionata dalla cultura dei samurai, che inizierà a mettere in discussione il suo equilibrio e farà del suo meglio per aiutare Valerie, la paziente più difficile che abbia avuto.


Al capezzale di un malato che ci sta a cuore e che ha i giorni contati, in questa familiare situazione che tutti abbiamo più o meno vissuto, prende il via il piccolo racconto di Shoulberg, che porta in concorso una protagonista femminile dissacrante ma anche tanto commovente, nella sua totale incapacità di avere rapporti.


Ms. White Light è la luce alla fine del tunnel. È ai suoi servizi che si affidano familiari incapaci di gestire questo momento particolare in cui si dovrebbe dare conforto e forza nelle ultime ore di vita. Così Lex ha una grandissima abilità davanti alla morte, ma non riesce ad affrontare la vita: in particolare la sua, da quando ha perso prematuramente la madre in un incidente. Così, in un gioco di doppi sensi sulla morte e la malattia, questa pellicola brilla per ironia e per sentimento; ha un cuore che pulsa fortissimo e che sente in gola anche lo spettatore, come un nodo, sin dall’inizio. La caratterizzazione della protagonista è sicuramente l’aspetto che funziona meglio: impermeabile e respingente, la sua sicurezza professionale la rende consapevole e presente per i pazienti, mentre affronta amici e familiari del malato-cliente con un gelo spiazzante; ma è con i vivi ad essere totalmente imbranata.


Peccato solo che la narrazione proceda su piste davvero poco approfondite e banali: ciò che rende questo lavoro piacevole, ma purtroppo non memorabile. Esile nella costruzione, troppo lineare nel montaggio: la pellicola abbandona sullo sfondo ogni elemento utile a dare spessore al racconto - un passato, i rapporti, persino un futuro- e rende questa luce bianca troppo accecante.


Lo stile è sempre troppo controllato, c’è un bilanciamento a ribasso verso il tenue che imbriglia la pellicola e non la fa decollare come meriterebbe. Ms. White Light è comunque un punto di vista interessante su come a volte si cerchino modi alternativi per non affrontare situazioni di stallo, ritagliandosi un proprio asettico spazio in cui alienarsi e vagabondare in maniera randagia nella realtà, almeno fino a quando tutto questo è sostenibile. La cosa curiosa del film è che il mestiere di Lex, per ammissione dello stesso regista Zachary Spicer durante la conferenza stampa, non è un’invenzione.


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