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6 Underground

18/12/2019 12:00

Marco Filipazzi

Recensione Film,

6 Underground

Un manifesto del cinema di Michael Bay

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Michael Bay non ha bisogno di presentazioni: basta fare il suo nome per scatenare due reazioni diametralmente opposte, che vanno dall’odio sfrenato all’esaltazione pura. I suoi detrattori infatti lo accusano di fare film senza una trama, in cui i dialoghi sono ridotti all’osso e la storia avanza a suon di sparatorie, incidenti d’auto e tante, tantissime esplosioni. E sapete che c’è? Che in fondo gli haters hanno pure ragione. Ma dopo 25 anni di carriera (senza contare la gavetta pubblicitaria e videoclippara) ha senso sputare veleno a ogni suo nuovo film? No, tanto più se si considera che sono action che, è vero, magari non hanno una trama particolarmente articolata (d’altra parte sono parecchi i film del genere che non ce l’hanno) e dove l’aspetto più importante è, ovviamente, l’azione. Ebbene, da questo punto di vista Michael Bay è il Re dell'action. La sua “visione” è totale e non vi è nessun altro regista, passato o presente, in grado di immergere a tal punto lo spettatore in queste scene, catapultandolo nel mezzo dell’azione e frastornandolo con un montaggio serratissimo, massacrante, a tratti quasi estenuante, al punto che ti sembra di essere su di una gigantesma montagna russa che non finisce mai.


Questo è Michael Bay e, dopo 13 film da regista, onestamente non ha più nemmeno senso apostrofarlo come “quello delle esplosioni”...sarebbe come criticare Dalì perché non dipingeva soggetti realistici! Perciò, dopo che ha fatto letteralmente scontrare due pianeti nel monumentale finale di Transformers 5 - L'Ultimo Cavaliere, Bay rinuncia al grande schermo in favore di una maggior libertà creativa, accettando di dirigere 6 Underground per Netflix.


Ryan Reynold interpreta il suo classico personaggio belloccio, dalla battuta sempre pronta: è un milionario che ha inscenato la propria morte per fuggire dal sistema ed essere libero di poter “uccidere i cattivi”. Riunisce attorno a sé una squadra di cinque persone, ognuno con la propria specialità, e insieme a loro cercherà di rovesciare un regime dittatoriale pilotando un colpo di stato. La cosa interessante è che il Monarca è solo il primo di nove obiettivi della squadra, perciò è facile intuire che 6 Underground sia il pilota di un potenziale franchise targato Netflix. Un franchise che, almeno da questa premessa, potrebbe insidiare quello di Fast & Furious, dato la similitudine di alcune tematiche: le scene d’azione, gli inseguimenti, il team di protagonisti fuorilegge e il concetto di Famiglia prima di tutto. Perché, con tutto l’amore, la saga di Vin Diesel ormai è già stata spemuta a sufficienza e per molti il discorso si è concluso con Furious 7 e il commovente omaggio a Paul Walker. Resta perciò un vuoto da colmare con qualche franchise adrenalinico; ci ha provato, scarsamente, Fast & Furious - Hobbs & Shaw e ora ritenta 6 Underground, con risultati decisamente più riusciti.


Certo, se preso nelle sue due ore e 10 di durata, 6 Underground di sicuro non rappresenta l’apice della carriera del regista. Quello che però verrà ricordato a lungo, quasi come se fosse il suo manifesto, saranno le scene d’azione. Sono tre le maxi sequenze attorno a cui ruota l’intero film e sono davvero qualcosa che si spinge “oltre” il concetto di azione. Sono talmente frenetiche, caotiche e saturate di dettagli e punti di vista che risulta quasi difficile capire come Bay le abbia concepite, girate e montate con una precisione chirirgica. Ne sono un perfetto esempio i primi 20 minuti di film, un lunghissimo inseguimento in auto per le strade e i vicoli di Firenze (true story: originariamente Bay avrebbe voluto girare la scena a Roma, ma la Città Eterna è stata scartata a causa delle.... troppe buche nelle strade!) che si conclude all’interno degli Uffizi. Possiamo mmaginare che Netflix abbia dato carta bianca a Bay e lui a un certo punto abbia proposto: «Ok, allora facciamo che a un certo punto iniziano a sgommare davanti al David di Michelangelo»!


Ma al di là dell’idea in sé, che comunque colpisce, nel bene o nel male, quello che è stupefacente è soprattutto la perizia tecnica della realizzazione. In questa seguenza la durata media di un’inquadratura sia di un paio di secondi. Tutto è velocissimo, la telecamera si sposta da un punto all’altro, mostrandoci incidenti e acrobazie (CGI ridotta al minimo, se non proprio assente). Eppure, nonostante l’incessante bombardamento visivo, tutto risulta chiaro e lineare agli occhi dello spettatore. Segno che, nonostante gli haters, Michael Bay è effettivamente un autore. Può non piacere il suo stile, ma è indubbio che ne abbia uno, e anche molto riconoscibile. 6 Underground appare come un manifesto del suo cinema.


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