Nella storia del frammentato mondo cinematografico di DC Entertainment sono molti i film che hanno diviso pubblico e critica. Fra questi rientra sicuramente Suicide Squad, a cui va riconosciuto il merito di aver lanciato il personaggio di Harley Quinn, nell’affascinante interpretazione della bella e brava Margot Robbie. Inevitabile che tale successo portasse, oltre all’annuncio del sequel di Suicide Squad, alla realizzazione di un film che vedesse protagonista la dolce metà del Joker, scaricata per l’occasione da Mr. J e quindi libera di consolarsi seminando distruzione, vagando per la città alla ricerca di una propria dimensione. Affidato a Cathy Yan, già regista nel 2018 di Dead Pigs, Birds of Prey e la fantasmagorica rinascita di Harley Quinn è l’ennesima prova che se alla DC hanno deciso di seguire l’esempio del competitor Marvel, il meccanismo ha bisogno di essere messo a punto con più lucidità. Nonostante i rimandi a Suicide Squad, più che altro nei riferimenti comuni ai due film sulle origini del personaggio, Birds of Prey appare fin dalla intro cartoon come una sorta di reboot, una rinascita appunto, della criminale un tempo nota come Harleen Quinzel.
Totalmente squinternata e imprevedibile, dopo l’ennesima rottura con il suo Puddin’ (rottura che questa volta la ragazza considera definitiva), Harley vive alla giornata. Essere la ragazza del Joker l’aveva fino a quel momento protetta da tutte le conseguenze delle sue azioni, ma i creditori si presentano per saldare i conti non appena si diffonde la notizia che la coppia è ufficialmente scoppiata. L’evoluzione di queste premesse porterà Harley a rapportarsi con una variegata squadra di eroine, costruita intorno alla necessità di preservare la vita di una giovane ladruncola di strada, Cassandra Cain (Ella Jay Basco), entrata in possesso di un diamante per il quale sono già stati versati litri di sangue.
Se la storia si snoda su percorsi abbastanza battuti, il tentativo di dare freschezza al film è dato da una messa in scena che strizza prepotentemente l’occhio allo stile di Zack Snyder, alterna poche scene di dialogo a tanta azione, montate al ritmo di cover di brani famosi in scenografie ricche e colorate. In linea con il personaggio principale e a quella volontà di realismo distopico che caratterizza le produzioni DC. Fino a metà del film, l’intreccio si costruisce ritornando alle origini dei personaggi che, di volta in volta, intervengono in scena a partire dal momento in cui di fatto i loro destini si trovano a incrociarsi. È così che ricostruiamo le storie di Cassandra, della detective Renee Montoya (Rosie Perez), di Black Canary (Jurnee Smollett) e della Cacciatrice (Mary Elizabeth Winstead): tutti questi comprimari decisamente stereotipati - la cui rilevanza nel film, soprattutto per Montoya e Cacciatrice è minima – vengono imposti al pubblico, un po’ come avveniva in Justice League per i vari Flash, Aquaman e Cyborg. La ragione di questa forzatura è palesemente la volontà di costruire intorno a Margot Robbie un cast di supereroine, una sorta di Suicide Squad al femminile, capace di opporsi con successo a un esercito di criminali maschi, capitanati dall’ambiguo Black Mask (Ewan Mc Gregor) e coordinati dal viscido Victor Szasz (Chris Messina).
Celebrato come il film supereroistico del post #metoo, Birds of Prey sembra volere più che altro ottenere una parità di genere nel monopolio della violenza: l’affermazione personale di Harley, temuta non più solo in quanto compagna del Joker; il desiderio di vendetta di Cacciatrice, che però non ha origine in discriminazioni di sorta. L’opposizione alle disparità di genere più concreta è affidata ai riferimenti alla storia personale della Detective Montoya, scavalcata dal collega maschio a dispetto dei suoi meriti e calata in un contesto, quello del distretto di polizia, che trasuda maschilismo. Nell’insieme per tutto il film si respira indubbiamente una volontà di affermazione dei diritti e del valore delle donne, ma la trattazione è così poco incisiva da rendere l’operazione smaccatamente di facciata. Sul piano dell’uso della violenza, se consideriamo Harley Quinn e il suo mondo stiamo parlando di un’antieroina, cui non è chiaramente richiesto di avere comportamenti corretti. Il problema è che qui è posta a modello – in modo esplicito dalla giovane Cassandra – senza che i suoi comportamenti siano giustificati da altro che dal riconoscimento di “essere una persona orribile”. In Birds of Prey manca completamente la profondità di una riflessione sul male e sulla violenza, come quella portata avanti nel Joker di Todd Phillips. Il paragone è impari, chiaramente, ma lo si apprezzi o meno, Joker dà una lettura delle azioni di Arthur Fleck e rende la sua follia non giustificabile, ma comprensibile. La violenza in Birds of Prey è invece fine a se stessa ma super-estetizzata: sia in termini “cosmetici” - fra i glitter, i colori e la psichedelia ormai così efficacemente associati al personaggio di Harley - sia nelle scene d’azione, con coreografie e ralenti di snyderiana memoria, ormai tanto abusati da risultare noiosi.
Harley, per quanto indubbiamente glamour, finisce così per essere una sorta di Deadpool al femminile, ma con un carisma più pericoloso, perché non è altrettanto smaccatamente finto: laddove l’esagerazione del titolo Fox rendeva il tutto cartoonesco, la messa in scena - di suo più realistica, per l’universo DC nel suo insieme - rende Birds of Prey un film celebrativo dell’antieroina, senza spiegazioni di sorta; normalizza i comportamenti di una squilibrata e la esalta a figura di riferimento.
Sulla base di un personaggio di grande carisma, ottimamente interpretato da Margot Robbie, si è costruito un film debole e banalotto, dalla sceneggiatura elementare soprattutto nella costruzione dei personaggi secondari. La resa estetica di qualità, soprattutto della prima parte, è annacquata con scene di combattimento troppo insistite e reiterate. L’ennesimo film DC con un grande potenziale non valorizzato.