La prima serata della 76ma edizione della mostra del cinema di Venezia si apre con The Perfect Candidate di Haifa al Mansour, prima regista donna dell’Arabia Saudita. La pellicola, in concorso, racconta la storia di Maryam, una giovane dottoressa di un pronto soccorso di una piccola clinica in Arabia Saudita. Quando, per un problema con i documenti, le viene impedito prendere un aereo e volare a Dubai per un convegno medico, ed è costretta a misurarsi con la burocrazia, si imbatte per caso nel modulo di candidatura alle elezioni cittadine e decide di parteciparvi. Maryam voleva soltanto partecipare a un convegno medico ma non può farlo, perché il suo passaporto è stato sì rinnovato da suo padre, ma non in formato elettronico, quello necessario per volare. Non può sistemare le cose da sola, perché nel paese in cui vive è il genitore maschio a dover darle il permesso di viaggiare. Ma non c’è tempo e Maryam, che è una donna caparbia, dotata di senso pratico prova a non darsi per vinta, e a impietosire il cuore di qualche burocrate per poter recuperare il suo documento e prendere il volo della sera. Nonostante sia un medico affermato e anche apprezzato dalla comunità si trova in un ufficio dove l’unica cosa che le permettono di fare è compilare un modulo per candidarsi alle elezioni comunali. Lo farà: perché se sei donna, ambiziosa e nasci in Arabia Saudita vuoi fare il possibile per farti sentire. Gli ingredienti ci sono tutti per un film che sulla carta sembrava promettere una versione intima e autoriale di una tematica delicata, quella della condizione femminile. E invece ci troviamo davanti a un prodotto pop, che sceglie di posizionarsi nella maniera più classica e commerciale possibile, adagiandosi in una comfort zone sicura e poco rischiosa. Peccato, perché davvero The Perfect Candidate poteva permettersi qualche azzardo in più, uscendo dai classici conflitti di pellicole di quel filone e mostrarci più fragilità e sentimenti. Invece la sensazione è che resti tutto in superficie, che si privilegi la trama e un certo tipo di fruizione più “televisiva” rispetto alla complessità dei sentimenti umani, delle frustrazioni di chi fa i conti tutti i giorni con la messa in discussione della propria identità. Si tratta comunque di un film che scorre, accarezzando tutta una serie di conflitti minori: il rapporto della protagonista con un padre depresso che fa l’artista in un paese difficile; essere un medico donna in Arabia Saudita, tra la diffidenza dei pazienti uomini e la difficoltà di fare carriera. Godibile ma troppo poco incisivo per lasciare il segno: un film che lascia con la sensazione di ciò che poteva essere. Peccato.