Messe da parte le polemiche su Roman Polanski innescate dalle parole della Presidente di Giuria Lucrecia Martel, che è tornata a evocare la condanna per violenza sessuale a carico del regista polacco, arriva al Festival di Venezia anche L’ufficiale e la spia, titolo italiano di J'accuse, diretto proprio da Polanski. Il film è la ricostruzione del processo ad Alfred Dreyfus, che infiammò il dibattito pubblico e politico in Francia fra il 1894 e il 1906. L' affaire Dreyfus è rimasto nella storia come emblema dell'antisemitismo diffuso in Europa a cavallo fra '800 e '900, radicato anche in istituzioni come lo Stato Maggiore francese che, a seguito di un processo sommario, spedì al confino il capitano Dreyfus dopo l'umiliazione di averlo degradato pubblicamente. Il film di Roman Polanski racconta il caso dalla prospettiva del colonnello Piquart (Jean Dujardin), neopromosso comandante del controspionaggio francese che, resosi conto dell'ingiusta condanna, lavorò perché la verità trionfasse, smascherando un complotto di altissimo profilo. Se il titolo italiano è tratto dal romanzo di Robert Harris che ispira la sceneggiatura, l’originale francese J’accuse viene dal pamphlet di Èmile Zola, che sulla prima pagina de L'Aurore indicò pubblicamente i colpevoli del complotto, contribuendo in modo determinante alla riapertura del caso. Nelle mani di Roman Polanski, una pagina nota e cupa della storia d'Europa diventa un avvincente thriller in costume, attualissimo nel denunciare la pericolosità di un uso distorto del potere, tanto più pericoloso quando esercitato in conformità a posizioni razziste e ideologicamente indirizzate. Un cast di tutto rispetto, che oltre a Dujardin vede presenti Louis Garrel nei panni di Dreyfus ed Emmanuelle Seigner in quelli della compagna di Piquart, si mette al servizio del regista per animare una spy story dal bel ritmo e dal grande pathos, che non manca di coinvolgere e regalare affreschi di un passato ricco di fascino, citando nella messa in scena anche capolavori dell'arte come Le Déjeuner sur l'herbe del pittore francese Édouard Manet. Alla veneranda età di 86 anni, Roman Polanski dimostra una volta di più come il cinema possa essere un valido strumento di divulgazione e insegnamento, utile a rendere viva una storia che, a distanza di oltre un secolo, è ancora vivido monito ad una costante vigilanza nella difesa dei diritti e della libertà dalle degenerazioni del potere.