Panama Papers, presentato a Venezia 76 da Steven Soderbergh, ricostruisce le vicende legate al famoso scandalo dell’archivio digitale che comprendeva i dati sensibili di 300.000 società create off-shore dallo studio Mossack Fonseca. Basato sul libro Secrecy World: Inside the Panama Papers Investigation of Illicit Money Networks and the Global Elite di Jake Bernstein, rielabora il formato adottato da La grande scommessa di Adam McKay per spiegare e denunciare l'operato di studi come Mossack Fonseca, lasciando ai diretti interessati, interpretati da Gary Oldman e Antonio Banderas, il compito di spiegare il funzionamento delle operazioni da loro condotte, la convenienza per i loro clienti e la natura "elusiva" della creazione di società off-shore in paradisi fiscali. Il film scorre in modo abbastanza fluido, presentando varie storie collegate all'attività di Mossack e Fonseca evidenziandone la natura certo non cristallina: evasioni, truffe, tangenti, traffici di ogni natura sono alla base della necessità della creazione di società non direttamente riconducibili ai diretti interessati. Meryl Streep, oltre a interpretare la vedova Martin, una delle vittime del sistema creato da Mossack Fonseca, è anche la voce cui è affidata l'accorata richiesta rivolta ad autorità politiche e giudiziarie affinché vigilino in modo più efficiente su un fenomeno che, nei soli Stati Uniti, è riferibile a sessanta delle più importanti aziende e causa in danno per l'errario quantificabile in decine di miliardi di dollari. Al di là del valore pedagogico, Panama Papers giova di un ottimo cast e un buon ritmo. La regia si diverte a giocare con lo spettatore in un continuo gioco a infrangere la quarta parete, soprattutto da parte dei due avvocati, e un continuo e surreale cambiamento di contesto per entrare e uscire dalle storie raccontate. Questa scelta, se da una parte sorprende lo spettatore e lo incuriosisce, dall'altra confonde forse più di quanto non semplifichi una storia che ha a che fare con materiale tecnico molto complesso. Come detto, il meccanismo non è nuovo. E, nell'adottarlo, Steven Soderbergh non raggiunge l'originalità di Adam McKay e forse nemmeno la stessa capacità di rendere digeribile un meccanismo complesso, che potrebbe rimanere oscuro ai più anche dopo la visione del film. Ma al contempo pone le basi per consolidare, se non la conoscenza, almeno la consapevolezza dell'esistenza del problema.