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La terra dei morti viventi

07/04/2010 11:00

Marco Filipazzi

Recensione Film,

La terra dei morti viventi

Nel 1968 uno sconosciuto e ambizioso regista girò con alcuni amici, nei fine settimana, una pellicola in bianco e nero destinata a divenire in breve tempo un v

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Nel 1968 uno sconosciuto e ambizioso regista girò con alcuni amici, nei fine settimana, una pellicola in bianco e nero destinata a divenire in breve tempo un vero e proprio cult-movie. Dopo il successo de La notte dei morti viventi, George Andrew Romero girò altre due pellicole incentrate sul tema dei living dead; una saga che, seppur restando lontana dal circuito mainstream, divenne un pilastro del genere, osannata da schiere di fan. Romero non si ferma alla mera estetica splatter, nonostante gli effetti di Tom Savini facciano pensare diversamente. Per chi sa guardare oltre, scoprirà sorprendenti critiche alla nostra società e alle abitudini che la sorreggono. Nel primo film la critica era diretta al razzismo (per la prima volta, in una pellicola del genere, il protagonista era un attore di colore). In Zombi, del 1978, Romero mette in scena il consumismo famelico che dilagava all'alba dei centri commerciali. Nel 1985, con la pellicola che chiude la trilogia, Il giorno degli zombie, il regista di New York lancia pesanti critiche ai governi e alle loro istituzioni, sottolineando l'incapacità di collaborazione tra militari e scienziati in caso di emergenze. Dopodiché Romero chiuse gli occhi su questa dimensione apocalittica, lasciando gli spettatori orfani della sua visione acuta e critica che in troppi hanno cercato di ricreare fallendo miseramente. Finché, nel 2005, Romero annuncia l'ambizioso quarto capitolo della saga, La terra dei morti viventi.


Il mondo è definitivamente caduto in mano agli zombi e gli uomini sono costretti a vivere in città-fortezze dove vige una feudale e spietata stratificazione sociale. Nel grattacielo di Fiddler's Green, il viscido magnate Kaufman (un magistrale Dennis Hopper) troneggia su quelli che sono gli ultimi brandelli dell'umanità; più in basso, nei ghetti, i ceti meno abbienti arrancano per sopravvivere, morendo di fame e di malattia nell'indifferenza generale. Un manipolo di mercenari, capitanati da Riley e Cholo (Simon Baker e John Leguizamo) lavorano per i piani alti con lo sporco compito di razziare le città in cerca di viveri, medicine e armi. Questo finché Cholo, umiliato e preso in giro per l'ultima volta da Kaufman, non ruberà il Dead Reckoning, un mezzo blindato e ultra tecnologico, minacciando di far saltare Fiddler's Green se non avrà i soldi che chiede (inutili in un mondo disastrato, rimangono pur sempre l'unica cosa che smuove i cuori dei potenti). Toccherà a Riley, eroe tenebroso e solitario, salvare la situazione in cambio della libertà, aiutato dallo “storpio” Charlie (Robert Joy) e dalla prostituta-guerrigliera Slack (Asia Argento). Intanto gli zombi marciano, lenti e ciondolanti, verso la città, prendendo atto della loro coscienza e di quel poco che li rende ancora umani.


Romero si ritrova a gestire una grande produzione (18 milioni di dollari di budget contro i 3 de Il giorno degli zombi) e viene distribuito per la prima volta da una major, la Universal. Lo si nota dal look, più patinato rispetto alle altre pellicole, e da un maggior numero di scene d'azione a discapito di dialoghi, approfondimento dei personaggi e silenzi che avevano caratterizzato i primi tre capitoli. Ma nonostante ciò, Romero non rinuncia alla critica sociale, tema a lui caro. In primo piano c'è il crescente divario che si crea tra i potenti al comando e il ceto medio-basso; ma Romero riflette anche sul terrorismo (la sceneggiatura è stata completamente riscritta dopo gli attacchi dell'11 settembre) e sul potere del “popolo”. Emblematica la scena iniziale in cui gli zombi si incantano a fissare i “fiori del cielo”, arabeschi fuochi d'artificio, mentre i mercenari fanno razzia nei negozi; basterebbe solo questo per fare del film un potentissimo mezzo di denuncia. Insomma, un ritorno in grande stile per un regista che detiene lo status di “maestro dell'horror” e che dimostra, nonostante siano trascorsi vent'anni, di sapersela ancora cavare egregiamente. Segno che i tempi, forse, non sono poi così cambiati.


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