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Hatchet

13/04/2010 11:00

Marco Filipazzi

Recensione Film,

Hatchet

Chi dovesse imbattersi in questa pellicola alla ricerca di un horror originale, creativo, con una trama elaborata, meglio che cambi strada perché non troverà nu

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Chi dovesse imbattersi in questa pellicola alla ricerca di un horror originale, creativo, con una trama elaborata, meglio che cambi strada perché non troverà nulla di tutto ciò. Hatchet è davvero un horror del vecchio stampo (“Old School American Horror”, come recita la tag-in), che pesca a piene mani luoghi comuni degli slasher degli anni '70 e '80: una location paurosa e isolata, un gruppo di ragazzotti spauriti che si muovono come marionette in balia degli eventi, una vecchia leggenda di paese e un maniaco omicida deforme. Semplice, lineare e sanguinoso.


Adam Green, qui al suo secondo lungometraggio, ci mette passione e sebbene confezioni una storia già vista dozzine di volte e si affidi ai più abusati luoghi comuni nella creazione dei personaggi, riesce comunque a catturare l'attenzione dello spettatore. I dialoghi sono a metà strada tra il camp e il delirante, la storia è piena di echi ripetitivi, ma pure questo fa parte del gioco di Hatchet. Le atmosfere sono patinate e richiamano spudoratamente quelle degli slasher dei tempi d'oro (gli ultimi due minuti sono identici al finale del primo Venerdì 13, inquadrature comprese). E, cosa più importante, la pellicola non si prende mai davvero sul serio (grande pecca di molti altri horror contemporanei) ondeggiando perennemente in quello strato sospeso tra comico demenziale e splatter feroce, dimostrando di aver colto l'insegnamento dei vari Jackson (Splatters) e Raimi (La Casa).


Luisiana. Ben (il Joel David Moore di Avatar) e Marcus (Deon Richmond, Scream 3), in vacanza in cerca di divertimento, decidono di partecipare a un tour nella “palude infestata”, luogo denso di leggende folkloristiche. Tra le tante storie che popolano questo posto c'è quella di Victor Crowley, bambino nato deforme che viveva con il padre in una baracca nella palude. La notte di Halloween di svariati anni prima, alcuni ragazzini, nel tentativo di vederlo, danno fuoco alla baracca mentre Victor è intrappolato dentro. Da quel giorno in poi, ogni notte di Halloween, lo spirito di Victor torna in vita assetato di vendetta contro chiunque gli capiti a tiro. La nave turistica di Ben e Marcus si incaglia, costringendo i malcapitati a sbarcare nel territorio di Victor.


Il ritmo, nonostante la prevedibilità della storia, è serrato e privo di tempi morti. John Carl Buechel (veterano del make-up che nel suo curriculum annovera pellicole del calibro di Necronomicon, Re-Animator 1 e 2, Troll) ci mostra ciò che la computer grafica non potrà mai sostituire: effetti speciali artigianali (vincitori all'Austin Film Festival) truculenti e sboccati come nella migliore tradizione slasher. Ottima anche la colonna sonora, con una particolare nota di merito per la sequenza iniziale, dove la telecamera viaggia per le fogne accompagnata da This is the new shit di Marilyn Manson. Menzione speciale per i gustosissimi camei di veri e propri “mostri sacri” del cinema horror: Robert Englund (il Freddy Kruger dal 1984 al 2003) e Joshua Leonard (The Blair Witch Project) nei panni di due sventurati pescatori, Tony Todd (il Candyman dell'omonimo film) gestisce una bottega alquanto particolare, Kane Hodder (per ben quattro volte nei panni di Jason Voorhees nella saga di Venerdì 13) interpreta sia il padre di Victor che lo stesso Crowley, nascosto sotto chili di make-up e John Carl Buechel (anche curatore degli effetti speciali) è un vecchio pazzo che naviga per la palude. Un prodotto per cultori che cercano un tuffo nel passato e una boccata d'aria fresca tra i vari remake, reboot e sequel. Girato con passione, omaggiando e glorificando il genere da cui prende spunto e che trova nel suo mostro, Victor, una vera e propria icona che punta all'Olimpo dei “maniaci del grande schermo”. Un'horror americano della vecchia scuola. Dannatamente vero.


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