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15/04/2010 10:00

Lorenzo Costantini

Recensione Film,

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In una desolata e tranquilla campagna francese, più vicina ai colori del far west che a quelli europei, vivono Marthe, Michel e i loro tre figli...

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In una desolata e tranquilla campagna francese, più vicina ai colori del far west che a quelli europei, vivono Marthe, Michel e i loro tre figli. La famiglia abita nei pressi di un’autostrada costruita da anni e mai inaugurata. Quel tratto d’asfalto, dunque, è diventato parte integrante del loro giardino, il sesto componente della famiglia. Nel silenzio dell’aperta campagna e di una strada percorsa solo dal terzogenito Julien in bicicletta, questa allegra comunità passa le proprie giornate in un’apparente e piacevole pace solitaria, fuori dallo stress e dai vincoli della società. Purtroppo, l’autostrada viene messa in funzione e la quotidianità della famiglia viene stravolta; la strada a scorrimento veloce, infatti, passa sul giardino, diventando una barriera architettonica invalicabile e rumorosa. Se inizialmente i coniugi cercano di proteggere la prole nascondendo il disagio ed andando avanti, successivamente proveranno ogni soluzione, anche le più paradossali, per tornare a quella normalità che regnava nella loro strana ma amata casa.


La regista Ursula Meier, al suo primo lungometraggio, sottolinea i due momenti del film con una scelta di registri ben definita: sceglie la commedia per presentare la famiglia e la bizzarra quotidianità fatta di riunioni in bagno, promiscuità, noiose e quotidiane abitudini che comunque regalano sicurezza ai protagonisti. Con l’apertura dell’autostrada le tinte diventano sempre più opache, sfocate e si passa dalla commedia al drammatico climax di azioni sempre più estreme che sottolineano l’angoscia e la disperazione crescente negli animi dei protagonisti. Se la casa era considerata inizialmente come un rifugio nel quale ripararsi dalla società o da un male dal quale Marthe e Michel erano scappati, successivamente quella stessa costruzione diventa una prigione, una proprietà violata che i due vogliono proteggere ad oltranza sebbene ormai sia troppo tardi. Protagonista principale che muove i fili della trama e le decisioni della stessa famiglia è Marthe, interpretata dalla bravissima Isabelle Huppert, a suo agio nei ruoli drammatici e nevrotici e brava a sottolineare come la sua fragilità sia la maggiore preoccupazione della famiglia ma anche la guida involontaria che influisce sulle decisioni dei quattro. Home, sebbene in patria sia stato accolto con entusiasmo patriottico, paragonandolo ad opere illustri di Godard e Tati, è un mix di generi ed emozioni contrastanti che non sono esaltate pienamente dalle qualità del lungometraggio.


Ursula Meier utlizza la commedia per stupire ed incuriosire lo spettatore presentando la scena come se fosse una piéce teatrale, senza però divertire e convincere fino in fondo. Di contro, la svolta drammatica spiazza lo spettatore: l’eccessiva angoscia e il marcato nervosismo infastidiscono più che colpire, tanto che si sente immediatamente una certa nostalgia del precedente registro, imperfetto ma più piacevole. Home è un pugno dato con poca forza che non affonda e non fa male. Non si capisce allora perché lo si debba sferrare.


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