Nel 1959 vede la luce una delle opere più significative della nouvelle vague, Hiroshima mon amour, esordio nel lungometraggio di finzione di Alain Resnais. Già attivo da diversi anni nel documentario nonché come teorico ed ispiratore dalla corrente per eccellenza del cinema francese, il regista di Vannes segna con la sua opera prima una pagina importante della storia della cinematografia, andando a decostruire i vincoli narrativi di una storia come mai prima era stato fatto, non con tanta classe e stile. Quale luogo più adatto per la storia di un amore tanto tormentato se non Hiroshima, scenario dell’esplosione atomica nella seconda guerra mondiale, città ancora provata duramente da quell'infausto giorno. Hiroshima è sia il luogo fisico dove la storia è narrata, ma soprattutto una dimora morale dove provare a ricominciare, senza dimenticare il recente passato. Questo si interseca con la vita della protagonista, a cui un amore dimenticato ha lasciato inesorabilmente una cicatrice. Due corpi si abbracciano in una camera d'albergo. Lui (Eiji Okada), un architetto giapponese, porta sulle spalle il marchio della guerra, le metaforiche ceneri dell'atomica. Quale inizio più significativo di un rapporto segnato dal rimorso e dal ricordo, per una delle tragedie più drammatiche del secolo scorso. Lei è Elle (Emmanuelle Riva) un'attrice francese, giunta nella città nipponica per girare un documentario sulla recente distruzione nucleare. Due persone assai diverse per cultura e strato sociale, accomunate dalla solitudine interiore. La donna, sposata in patria e madre di figli, è tuttora ancorata al passato: non riesce infatti a dimenticare il suo grande amore, quello per un soldato tedesco, ucciso dal maquis. Questa è l'occasione per diversi flashback, dove si ripercorre questo primo rapporto, che ora l'attrice cerca di ritrovare nel nuovo compagno. Ma la felicità è ben lontana dal compiersi con la nascita di una nuova relazione, che si trasforma nella malinconia di un addio inevitabile, e la fuga in una cupa notte di Hiroshima è l'ideale epilogo per una storia d'amore e sofferenza. I dettagli, i dialoghi, ogni inquadratura è tesa a trasformare in immagine le sensazioni provate dai due protagonisti. Tutto il mondo sembra girare intorno a loro e alla loro storia, un'avventura nata dalla disperazione di due anime spezzate, incapaci di ritrovare un solido rapporto con la realtà . L'estremo senso di sofferenza provato dall'uomo, simbolo di un popolo ancora provato dall'atomica, e la mancanza affettiva di lei, ancorata a un amore distrutto dalla guerra anni prima, dà origine all'alpha e l'omega di tutto il film: la necessità dell'amore di colmare i vuoti gettandosi nella passione senza dar troppo peso al lato razionale. Tutto si sovrappone, situazioni, luoghi, momenti, quasi non ci fosse una stabilità narrativa ma un flusso emozionale di passato e presente che si intrecciano. La separazione, per ritornare ognuno alle proprie esistenze, conduce a rivivere un altro doloroso distacco, provocato questa volte dalle attuali vite, dai vincoli morali, non dalla brutalità di un conflitto e non per questo meno sofferta. La voce fuori campo di Elle, collante temporale ideale, ci accompagna in questo dilaniato viaggio nei meandri della psiche, un affresco visivo e sonoro di fascino virtuoso e difficile da contestualizzare. Ma come spesso nel grande cinema accade, l'impegno che è richiesto per una comprensione profonda e non superficiale è ripagato da una visione assolutamente indimenticabile, che dolcemente incide, come una lama affilata, il cuore dello spettatore. Un'opera sulla memoria, il cui significato è facilmente identificabile nello scambio di battute finali, dove la donna si rivolge all’amato con le parole «Il tuo nome è Hiroshima»; lui le risponde «E il tuo nome è Nevers».