Nella storia del cinema satirico, il nome di Mel Brooks, regista e sceneggiatore di eccellenti parodie come Frankestein Jr. o Balle Spaziali, ricorre sempre. Nel 1993, è la volta di mettere rispettosamente alla berlina il genere d'avventura e uno dei suoi personaggi di punta. La scelta di Robin Hood deriva dal successo, di appena due anni prima, del Principe dei ladri con Kevin Kostner, del quale vengono riprese e ridicolizzate scene e situazioni. Molti però sono i rimandi ad altri film con protagonista il nobile bandito di Sheerwood: The Adventures of Robin Hood del 1936, nonché il lungometraggio disneyano del 1973, così come opere eterodosse, da Il Padrino a Mamma ho perso l'aereo, fino ad arrivare a pellicole dello stesso Brooks, in un gioco al rilancio citazionistico di cui il regista newyorkese è maestro, rispecchiando al contempo la società e i costumi americani tipici degli inizi degli anni '90: un lavoro notevole che tuttavia all'epoca della sua uscita non fu apprezzato come altri suoi precedenti lavori. Robin di Loxley (Cary Elwes), scampato alla morte durante le crociate, non fa in tempo a tornare nella sua Inghilterra che si caccia subito in altri guai, non perdendo occasione di mettere in ridicolo il permaloso e maldestro sceriffo di Rottingham (Roger Rees), e insidiando cortesemente la bella Lady Marion (Amy Yasbeck), oggetto del desiderio dello sceriffo. La lotta fra il ladro gentiluomo e il Principe Govanni (Richard Lewis) si fa sempre più serrata, coinvolgendo da una parte gli “allegri compagni della foresta” capeggiati da Little John (Eric Allan Kramer) e dall'altra gli uomini dello sceriffo, malavitosi di chiara indole mafiosa... Anche a distanza di anni, Un uomo in calzamaglia non smette mai di far ridere, soprattutto pensando alla società americana dei Ninties dipinta nello specchio deformante di Brooks. Grandiose le interpretazioni di molti attori, tra cui il divertente ma al contempo charmant Cary Elwes, la bellissima e maliziosa Amy Yasbeck e i buffissimi Richard Lewis e Roger Rees. Di notevole importanza, inoltre, la nota di “colore” data dal personaggio di Etcì interpretato da un esordiente e straripante Dave Chapelle. Certo, la comicità è d'altri tempi, figlia di uno stile che molti ai giorni d'oggi quasi ignorano (dopotutto Brooks ha smesso di dirigere circa quindici anni fa), e i riferimenti sono precisissimi. E come in tutte le parodie, se non si colgono, si rischia di divertirsi a metà, al di là delle buffe situazioni in cui incorrono i protagonisti. Una nota necessaria, infine, sul doppiaggio italiano, che fa del suo meglio per rendere il più fedeli possibile i mille giochi di parole e i riferimenti di cui Brooks infarcisce sempre le sue opere, ma la visione in lingua originale, come al solito in questi casi, è sempre considerata come la miglior scelta.