Era il 1993 quando Tony Scott, autore di pietre miliari del cinema commerciale come Top Gun e True Romance, sentì nominare per la prima volta il nome di Domino Harvey. Lesse le sue gesta nell'articolo di un giornale e da subito gli balenò in testa l’idea di farne un film. Adrenalinico, pieno di sparatorie, inseguimenti e spettacolarizzazioni di ogni sorta; basterebbe solo riuscire a catturarne l’essenza e cristallizzarla in una sceneggiatura convincente. Per anni, Scott si trascina dietro quest’idea fino a incontrare la persona giusta, quel Richard Kelly che con la sua pellicola d'esordio, Donnie Darko, ha dimostrato di apprezzare storie inconsuete e personaggi eccentrici. Sin da subito si dimostra entusiasta del progetto, così il film entra in cantiere. Nel frattempo sono passati dodici anni e sul grande schermo si sono susseguiti una serie di volti nuovi: ed è su una di queste esordienti che Scott decide di puntare. Keira Knightley si rivela la sua prima e unica scelta. Domino è la “storia vera... più o meno” (come recita la tag-line) della cacciatrice di taglie Domino Harvey. Una favola post-moderna e punk, che ribalta quello che per decenni è stato il sogno di bambine e adolescenti: salire dalla strada ai quartieri altolocati. Nata dal matrimonio tra l’attore Laurance Harvey (colui che interpretò il Manchurian Candidate originale) e l'ex-modella Pauline Stone, Domino è figlia dell'alta borghesia hollywoodiana e, come nella migliore delle favole, cresce avvolta nella bambagia. Con l’adolescenza però arriva anche il confronto con il mondo reale e la sua vera indole prende il sopravvento: un fisico da modella, lo spirito di un maschiaccio, Domino è ben determinata a non farsi mettere i piedi in testa da nessuno. Si fa espellere dai collegi più prestigiosi e inizia a interessarsi alle arti marziali, alle armi da fuoco, da taglio, e al nunchaku. A ventidue anni si iscrive a un corso per diventare cacciatrice di taglie ed entra a far parte della squadra di Ed Mosbey, veterano del Vietnam (interpretato da un ruvido e magistrale (Mickey Rourke). Dopo una serie di dure lezioni di vita, la Domino di celluloide si rifugia in un happy-ending in cui trova finalmente il proprio equilibrio; la vera Domino muore di overdose nella sua vasca da bagno mentre è agli arresti domiciliari, nel periodo in cui il film è in fase di montaggio. Scott confeziona una pellicola adrenalinica al duecento per cento, in qui l’acceleratore è schiacciato al massimo, senza lasciare allo spettatore un attimo di respiro tra sparatorie, fughe, inseguimenti e rese dei conti. Il cast di contorno è di tutto rispetto: Mickey Rourke, Lucy Liu, Mena Suvari, Christopher Walken, Mo'nique, Macy Gray e le star di Beverly Hills 90210, Ian Ziering e Brian Austin Green. La regia è così sopra le righe da risultare spesso confusa, disturbata, punk, ma mai in stile videoclip. Gli stacchi sono continui, non ci sono inquadrature fisse, gli zoom sono vertiginosi e instabili come nella migliore tradizione action. Persino i sottotitoli non stanno mai fermi. La fotografia è un continuo susseguirsi di colorii nitidi, sfocati, immagini sgranate, passaggi dal bianco e nero al seppia, con un risultato più frastornante di quello di Assassini nati e U-Turn di Oliver Stone. Domino è un ottimo action che nel nostro paese è passato troppo in sordina e meriterebbe di essere riscoperto: vederlo equivale a farsi un giro di due ore sulle montagne russe.