Vincitore di un Saturn Award nel 2001, Final Destination, diretto da James Wong, è un horror a target adolescenziale. Il film ha avuto un discreto successo, al punto tale che nel giro di pochi anni ne sarebbero stati realizzati altri tre sequel, facendone del film di Wong il primo di una quadrilogia. Per quanto tutti abbiano in comune la stessa idea di fondo, i vari capitoli non sono narrativamente consequenziali. Il volo che condurrà un gruppo di teenagers americani in Francia per una vacanza sta per decollare. Ma quello che per loro sarebbe dovuto essere un viaggio allegro e spensierato presto si trasforma in un conto alla rovescia verso un infausto destino. Mentre l’aereo è ancora fermo Alex Browing (Devon Saw) ha un sogno premonitore: il veicolo poco dopo il decollo comincia a tremare per poi esplodere. Subito dopo la visione si guarda intorno rivedendo tutti i momenti precedenti all’evento catastrofico che aveva già visto in sogno. In preda al panico esce dall’aereo assieme ad altri ragazzi salvandosi. Ma quello che loro non sanno è che il loro appuntamento con il destino è stato semplicemente rimandato. James Wong basa tutto il suo film sull’inevitabile tentativo di sfuggire alla morte. La morte di fatti è l’unica certezza nella vita di ogni persona. Per quanto si possa cercare di evitarla, di allontanarla o di esorcizzarla lei è costantemente sulle nostre tracce. Ci guarda, ci scruta, ci attende; sapendo che prima o poi riuscirà a prenderci e ad avere la meglio su di noi. Nel film succede la medesima cosa, anche se in modo esasperato. Nonostante l’idea madre del progetto potrebbe essere interessante non si può dire lo stesso per la realizzazione. Dopo aver capito la logica che è alla base del film non ci resta che seguire l’inevitabile corso degli eventi senza poterci aspettare molto dalla trama, se non qualche rara trovata che cerca, in modo non molto efficace, di sorprendere lo spettatore. L’eventuale gradimento della pellicola dipende di fatti solo ed esclusivamente dall’apprezzare o meno le varie diavolerie che il regista assieme agli sceneggiatori si sono inventati per permettere alla morte di compiere il suo percorso. Per quanto gli effetti visivi siano apprezzabili, non possiamo dire lo stesso dei dialoghi, assolutamente banali, o delle interpretazioni assai poco ricercate, tipiche del genere horror. Non entriamo mai veramente in empatia con i personaggi, ma siamo semplici spettatori estraniati dalla vicenda. La suspence è totalmente assente, e, per un film del genere, non è un elemento da poco.