Un bagno lercio illuminato da una fotografia azzurrastra. L’uomo che per novanta minuti di pellicola sembrava morto, si alza e cammina verso la porta. È John Kramer. Ha il volto sporco di sangue posticcio; piedi nudi, maglia della salute e boxer a righe. La porta del bagno si chiuse con un clangore. Fine del gioco. Così si conclude Saw – L’enigmista, ottimo thriller che si basa su un'idea originale e puntellato da notevoli colpi di scena. Il finale di James Wan potrebbe mettere il punto alla fine della storia ma, uscito nelle sale ad Halloween 2004 e avendo registrato incassi sorprendenti, Saw da l’abbrivio ad una delle saghe più proficue e prolifere dell’ultimo decennio, seconda solo a Venerdì 13 (con i suoi 10 film all'attivo più un crossover e un remake spalmati nell’arco di 30 anni).
Saw II – La soluzione dell’enigma, girato in poco più di un mese, non godette della stessa benevolenza che la critica aveva riservato al suo predecessore, coniando per questa pellicola e gli affini nati sulla stessa scia (vedi Captivity, Turistas, Hostel) il termine torture-porno, ovvero l’esercizio di sadomasochismo cinematografico, in cui la trama è solo un banale pretesto (come nei porno, appunto) per inscenare aberranti torture fisiche e psicologiche. La storia è un rimaneggiamento della sceneggiatura di The Desperate, scritta da Darren Lynn Bousman che per anni aveva provato a venderla a qualche casa di produzione ma che è stata sempre respinta “perché troppo violenta”. Il plot viene riscritto e adattato dallo stesso Bousman sotto la supervisione di Leight Whannell (già autore dello script del primo episodio).
Su una nuova scena del delitto di Jigsaw, il detective Eric Matthews (Donnie Wahlberg) trova un indizio che lo porterà al nascondiglio del killer. Nel frattempo otto sconosciuti, tra cui il figlio del detective, si risvegliano in una casa dalla quale è impossibile uscire e dove l'aria è intrisa di un gas nervino letale. Disseminati per le stanze dell'abitazione vi sono vari rompicapi da risolvere con in palio una dose di antidoto da assumere entro due ore, unico modo per sopravvivere. I giochi hanno inizio.
Bousman succede a James Wan e mantiene lo stile visivo del primo film arricchendolo con il suo tocco personale, rendendo tutto più industriale, sporco, violento, nervoso e soprattutto videoclipparo.
l messaggio che John Kramer/Jigsaw vuole perpetrare è il medesimo: far apprezzare il dono della vita a chi la disprezza. Stavolta però a partecipare al gioco ci sono più concorrenti, quindi più torture che si susseguono in un voyerismo ossessivo e in un’escalation di sadismo che la telecamera sembra intenzionata non censurare. L'acceleratore è premuto al massimo sullo splatter; la fotografia è cupissima, caratterizzata da neri abissali e penombre che nascondono sempre nefande sorprese. Nonostante la maggior parte del pathos del primo capitolo si perda dal momento che lo spettatore sa già chi si nasconde dietro la maschera di Jigsaw, il film mantiene comunque una notevole tensione per tutta la sua durata, complice la narrazione aggrovigliata che si riserva di svelate tutte le risposte negli ultimi minuti. Bousman confeziona un ottimo prodotto che si solleva dalla blanda media in cui sono soliti precipitare i sequel. La macchina macinasoldi di Saw continua la sua ascesa, proiettando la Lionsgate a divenire una delle maggiori case di produzione del genere, e consacrando Jigsaw a nuova icona horror. Il gioco continua.