Ubisoft e Disney: accostare questi nomi crea un potente binomio, che unisce due delle realtà più importanti dell’intrattenimento videoludico e cinematografico dei nostri giorni. Tale accostamento è all’origine della realizzazione - affidata alle esperte mani di Mike Newell - dell’adattamento cinematografico di una saga di videogiochi che vanta una storia più che ventennale, scolpita nella memoria di chiunque abbia preso in mano un joypad: Prince of Persia rappresenta innanzitutto un omaggio coerente e rispettoso del mito e dell’universo cui Jordan Mechner diede vita nel lontano 1989.
Dastan (Jake Gyllenhaal) è un orfanello che campa di espedienti nel quartiere più povero della capitale persiana, fino a quando il sovrano Sharaman (Ronald Pickup), colpito dall’eroismo con il quale il giovane difende dalle guardie un compagno reo di aver rubato una mela, decide di adottarlo, facendone un principe. Il giovane cresce a palazzo nel rispetto dei sani valori del padre e maturando un sincero affetto nei confronti dello zio Nizam (Ben Kingsley) e dei fratelli Tus (Richard Coyle) e Garsiv (Toby Kebbell). La famiglia reale in seguito è impegnata in una grande guerra, che porta i principi ad assediare la città santa di Alamut, segnalata da alcune spie come sostenitrice dei loro nemici. Dastan si distingue nella conquista della città ed entra in possesso di un magico pugnale in grado di attivare i poteri delle sabbie del tempo, ma di lì a poco il re Sharaman viene assassinato e tutte le apparenze sembrano incolpare lui. Vedendosi accusato dai suoi affetti più cari, il principe non può fare altro che fuggire e, con l’inaspettato aiuto della bellissima Tamina (Gemma Arterton), principessa di Alamut, scoprire la cospirazione ordita a suo danno, e salvare il regno di Persia da un tremendo destino.
Ispirato a Le sabbie del tempo, Prince of Persia recupera in modo inappuntabile le estetiche e l’azione dei capitoli successivi, ivi compreso l’interpretazione originale che i giocatori hanno potuto apprezzare sulle console di nuova generazione e persino inserendo evidenti rimandi alla saga di Assassin’s Creed. Azione adrenalinica riconducibile alla pratica del parkour, effetti speciali di buona qualità, combattimenti all’arma bianca e ambientazioni esotiche e fiabesche sono infatti gli elementi che maggiormente caratterizzano questo film, che pur nella generale impostazione fantastica/avventurosa, si permette anche accenni critici alla nostra realtà (difficile non cogliere nella presa di Alamut e nella sua giustificazione un richiamo all’intervento americano in Iraq). Ogni elemento citato ha il proprio archetipo nel gioco, tanto da rendere innegabile l’evidenza di trovarsi di fronte ad un film che, a dispetto di tutti i precedenti tentativi (Street Fighter o la saga di Resident Evil, per fare degli esempi), riesce a non tradire le proprie origini e al contempo risultare accettabile anche per un pubblico estraneo alla realtà videoludica. Chiarito questo punto, è necessario soffermarsi sul valore effettivo che Prince of Persia ha come opera cinematografica e accettare il fatto che Newell abbia costruito un film d’avventura fin troppo canonico, che intrattiene ma che soffre di un’impostazione troppo orientata ad un “pubblico Disney”. Tanti buoni sentimenti e valori, un grado di violenza abbastanza contenuto malgrado i molti combattimenti, tensione erotica nulla nonostante l’avvenenza indiscutibile della Arterton, un’ironia a tratti anche molto simpatica ma una generale mancanza di pathos ed epicità, che in parte vanifica la qualità estetica delle ricostruzioni. Prince of Persia intrattiene sebbene non catturi, complice anche un Gyllenhaal perfetto in termini estetici ma privo di carisma e spessore; una storia coerente sostenuta da dialoghi accettabili, ma che nel complesso non avvince, risolvendosi infine in modo troppo lineare. Chiunque abbia vissuto l’esperienza del gioco apprezzerà il film, indiscutibilmente il miglior adattamento da opera videoludica esistente ad oggi; tuttavia un pubblico cinematograficamente smaliziato non sentirà il bisogno di ricordarsene una volta usciti dalla sala.