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La nostra vita

30/05/2010 10:00

Valeria Rogo

Recensione Film,

La nostra vita

Claudio (Elio Germano) è un ragazzo sui trent’anni, fa il manovale e tutti i giorni fatica per mandare avanti la sua giovane ma nutrita famiglia, composta dalla

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Claudio (Elio Germano) è un ragazzo sui trent’anni, fa il manovale e tutti i giorni fatica per mandare avanti la sua giovane ma nutrita famiglia, composta dalla bellissima moglie Elena (Isabella Ragonese), dai due figli Cristian e Samuel, più un terzo in arrivo. La vita di Claudio è quella tipica del ragazzo di borgata proletario, alle prese con le difficoltà economiche causate da uno stipendio appena sufficiente per arrivare a fine mese, con le preoccupazioni per il futuro della sua famiglia, aggravate dall’imminente nascita del terzogenito. Eppure la sua è un’esistenza felice, piena di affetto, complicità e comprensione. Claudio ha inoltre due fratelli, Piero (Raoul Bova) e Liliana (Stefania Montorsi), entrambi con i loro problemi – lui scapolo d’oro tanto bello quanto goffo e timido, lei cassintegrata perenne con famiglia a carico – ma profondamente legati tra loro. Ogni domenica questa grande famiglia si riunisce a casa di Piero per pranzare insieme e per condividere ansie e gioie. Tutto sembra scorrere tranquillamente, finché un tragico evento non sconvolge la vita di Claudio: Elena muore durante il travaglio, lasciando il marito solo a doversi prendere cura dei figli. La vita non sarà più la stessa; le crescenti responsabilità porteranno Claudio a non dare sfogo alla disperazione per la perdita della moglie, proiettandolo in una vorticosa parabola di scelte sbagliate e di bugie che, seppur dette a fin di bene, non causeranno altro che guai. La spirale (auto)distruttiva di eventi si rivelerà infine utile a Claudio, costringendolo ad affrontare una volta per tutte i suoi fantasmi, a piangere finalmente la moglie e a trovare il coraggio e la forza per ricominciare, con l’aiuto della solidale famiglia.


La nostra vita di Daniele Luchetti presenta numerose differenze con le precedenti pellicole del regista. Lo sfondo sociale è sempre presente, come ne Il portaborse o Mio fratello è figlio unico, ma in questo caso si ha l’impressione di trovarsi davanti ad una storia più verosimile delle altre, che pure mostravano spaccati di vita italiana passata e presente. A partire dal titolo, il messaggio che traspare dal film è quello di una vicenda comune, dal sapore neorealista sia nelle scelte contenutistiche che in quelle stilistiche. Luchetti affronta nel film tematiche universali ed attualissime, soprattutto in Italia, quali la precarietà del lavoro, il razzismo, la prevalenza dell’apparire sull’essere che spinge l’uomo a cercare espedienti illeciti e meschini pur di mostrare agli altri quello che ha (o che finge di avere). Tale smania di “mettere in mostra la mercanzia” fa presa in maniera particolare su un soggetto come Claudio, poco istruito e desideroso solo di offrire una vita migliore ai propri figli. Per questo il giovane opera scelte folli, come farsi carico del subappalto di un palazzo pagando con i soldi prestatigli dal vicino di casa spacciatore. Allo stesso modo quest’ultimo – un inedito Luca Zingaretti – pur di non affrontare i propri problemi aiuta il protagonista fornendogli un capitale che nemmeno possiede, facendosi carico a sua volta di altri debiti. In questo contesto quasi grottesco, che mostra un’Italia povera e a tratti patetica, il ruolo dei “grilli parlanti”, dei saggi che risvegliano le coscienze, viene provocatoriamente ricoperto dagli stranieri, dagli extra-comunitari che di solito costituiscono l’anello debole della società. Basti pensare alla donna senegalese la quale, esasperata dallo stile di vita del pusher con cui convive, se ne va di casa accusando gli italiani di averla fatta diventare razzista a sua volta perché non sopporta il loro modo di fare volto solo all’accumulo di denaro, e che tralascia del tutto i sentimenti e i valori morali. Anche Gabriela, la donna rumena che dopo un breve flirt col protagonista gli affida il figlio Andrei, orfano inconsapevole di padre – muratore deceduto nel cantiere di Claudio e del quale il giovane copre la morte per non incorrere in problemi con la polizia. Questa donna, inizialmente guardata con sospetto dalla famiglia di Claudio perché vittima dei soliti stereotipi riguardanti gli stranieri, si rivela in realtà una persona forte e intelligente. È lei a porre al protagonista la domanda forse più emblematica dell’immagine che troppo spesso gli italiani forniscono del proprio modus vivendi: cosa è meglio scegliere nella vita, tra l’apparire ricco pur non avendo un soldo in tasca e il rimanere umile pur avendo un conto in banca straripante? La risposta di Claudio risulta ancora più significativa : “Beh, ma oggi giorno funziona così, apparire conta di più”.


Il viaggio di Lucchetti nell’Italia povera è dunque un viaggio che mira alla riscoperta di valori andati perduti, come quello della solidarietà familiare e del rispetto per il prossimo, privo delle etichette etniche morali o sociali che siamo soliti affibbiare. Qui sta la forza della storia messa in scena dal regista, coadiuvata sì dall’ottima interpretazione degli attori, ma portatrice soprattutto di messaggi che arrivano dritti al cuore dello spettatore che non può non ritrovarsi nelle vicende vissute dai personaggi sullo schermo. Per questo forse il film è stato osannato dalla critica a Cannes, ed è per questo che Germano ha meritato di vincere il premio come miglior attore, perché ha rappresentato, in modo per nulla edulcorato, l’italiano medio, con tutti i suoi difetti, i suoi problemi, ma anche i suoi desideri e le aspirazioni. Forse, se inquadrate in questo contesto, le parole pronunciate dall’attore al ritiro della Palma d’Oro e tanto criticate in madrepatria (“dedico questo premio al mio Paese nonostante la sua classe dirigente”), potrebbero essere viste sotto una luce diversa, non polemica né faziosa, ma sintomatiche del sentire comune di un'Italia proletaria, più genuinamente ‘nostra’, che il regista ha voluto mostrare al mondo.


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