“Non abbiamo la grande guerra né la grande depressione. La nostra grande guerra è spirituale, la nostra grande depressione è la nostra vita”. Nelle parole di Tyler Durden echeggiava il mesto crollo dell’American Dream ed una rovinosa caduta delle nuove generazioni in un limbo incolore. In questo monocromatico paesaggio vaga il protagonista di The Gardener of Eden, nella perenne connivenza tra rassegnata apatia e un recondito desiderio di cambiare. Adam Harris (Lukas Haas) ha un’esistenza modesta: un lavoro denigrante, la totale assenza di aspirazioni future e lo sdegno dei genitori. Nel buio si accende improvvisamente una scintilla. La casuale cattura di uno stupratore regala ad Adam le inattese vesti di eroe. Nella mente di questo supereroe senza poteri si profila l’ascesa di un vendicatore improvvisato, con il chimerico intento di riportare la giustizia in una realtà corrosa dall’illegalità e dalla dissolutezza. La parabola dell'Adam giustiziere non decolla come egli vorrebbe, acquistando un’aura antiepica dai toni grotteschi. Il tocco cinico del regista descrive efficacemente le sfortunate gesta di questo aspirante eroe, la cui brama di moralità viene bloccata da un sistema che non accetta, sin dal livello burocratico, la presenza di paladini solitari. La superba recitazione del camaleontico Giovanni Ribisi, nel ruolo di uno spacciatore locale, regala momenti di estrema ironia. Potenzialità elevate, che non vengono mantenute per tutto l’arco della pellicola, sofferente in alcune scene di palesi cadute di stile e ritmo. Come in un carillon dal meccanismo irregolare, alcune note stonate rovinano la melodia.